Torino Film Festival “Napalm” di Claude Lanzmann

locandinadi Gianni Quilici

L’inizio è fortemente condizionato dalla censura nord-coreana, per cui vediamo ciò che è possibile riprendere: le strade deserte di auto, la visita al museo delle armi, e soprattutto gli sport orientali (il dojang del teekwoond).  Non la realtà dunque, ma l’apparenza, perché, come tutti i regimi totalitari, ciò che viene rappresentata è la parata dell’ordine, della forza, della felicità. Rimangono invece nella memoria le immagini terribili dei bombardamenti americani,  l’uso del napalm, le devastazioni e le morti di civili, che saranno milioni.

Tuttavia è nella seconda parte che Napalm diventa avvincente e, in certi momenti, toccante,  quando Claude Lanzmann  racconta la (sua) storia d’amore con una bellissima infermiera coreana,  nel 1958, anno in cui egli visitò la Corea del Nord, prima delegazione occidentale ad essere autorizzata, dopo la guerra con la Corea del Sud .

Una storia d’amore avventurosa e rischiosissima per la ragazza, considerato l’assoluto divieto  di rapporti, se non strettamente professionali e controllati, tra uomini stranieri e donne nord-coreane.

Lanzmann racconta con voce grave e pacata, con le giuste pause di chi è padrone di sé, della propria oratoria e trasmette una visività ad una narrazione ricca di dettagli psicologici e materiali  con colpi di scena, che creano attesa.

Un film, quindi, che diventa tale soprattutto attraverso la qualità di una parola, che innesca immagine e ritmo, personaggi e attrazione narrativa.

NAPALM  di e con Claude Lanzmann. Francia, 2017, durata 100 minuti.


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