Nell’ infinito arcipelago delle filmografie del mondo ci sono sguardi che rimangono ai margini solo perché fuori dal giro protetto della grande produzione e distribuzione. I loro autori potrebbero passare per sfigati, sono invece solo degli “irregolari” che osservano con uno sguardo “non allineato”, (in gergo si direbbe “sporco”) ed hanno tutta la consapevolezza della imperfezione formale delle” loro opere.
Ma si sa, l’imperfezione, nella grande arte delle immagini in movimento non è sempre sinonimo del malfatto, anzi ha un suo fascino, si pensi, per esempio, ad alcune sequenze dei lavori di Roberto Rossellini ( e stiamo parlando di un maestro in assoluto) dove sono evidenti tanto le discrasie narrative quanto i barcollamenti di macchina…
Un “cinema irregolare” è di certo quello che nell’ultimo decennio ha prodotto, con pochi (e poveri) mezzi e in totale indipendenza, il lucano Vincenzo Galante, i suoi corti sono il risvolto di un filmare per nulla perfetto ma che è l’esatto opposto dal farsi spettacolo.
I tre cortometraggi “Rusariu ri Natali” (2009), ” C’é sempe nu motivo” (2011) e “Il mondo di Papà Beat” (2012) – che sono stati presentati il 3 agosto al Circolo Culturale Unione di Moliterno , nell’ambito delle anteprime dell’undicesima edizione di “Agri in Corto” – infatti ammantano un’idea di film, riversano sullo schermo le schegge di un rituale della tradizione locale in via di estinzione, l’emigrazione di lucani nelle Americhe, la storia di uno dei protagonisti di quel movimento dei “beatnik” (i capelloni) che agli inizi degli anni sessanta anticipò i percorsi di lotta abbracciati poi dagli studenti con la rivolta del “68”.
Potrebbe passare per un cinema localistico, provinciale quello di Galante, non lo è, nel modo più assoluto e per la ragione che ogni suo fotogramma è riallacciabile a realtà-altre ben oltre la cintura “Moliterno-Sarconi-Val d’Agri”. Si incorrerebbe in un ulteriore errore se definissimo i suoi piccoli lavori statici, come si può constatare tanto dalla cantilena dialettale di “zia Rusinella” in “Rusariu ri Natali” quanto dalle testimonianze di vita di Peppino Melillo e Antonio Di Spagna rispettivamente in “C’è sempi nu motivo” e “Il mondo di Papà Beat”, dove si impone l’oralità, un suono di voce che è azione-movimento.
Insomma, il cinema irregolare di Vincenzo Galante salta le apparenze e si rifugia in una lettura concettuale, tant’é che un significato di fondo di una sua immagine (o suono) può andare ben oltre il testo, la visione, lo schermo. Galante è filmaker che armeggia con le immagini come se fossero scrittura e le coniuga all’artificio del pensiero…E il pensare, si sa, aziona il sapere.