“8 giugno 1976” è il nuovo lavoro del regista Gianni Saponara che è stato presentato in anteprima (ma fuori dalle sezioni ufficiali) all’ultimo Festival di Cannes e si ispira al drammatico fatto di cronaca che accadde proprio in quella data di quarantuno anni fa a Genova.
Due “commandos” delle Brigate Rosse crivellarono di piombo il corpo del magistrato Francesco Coco e quello dei due uomini della scorta, Giovanni Saponara ed Antioco Deiana. Il procuratore generale Coco era noto all’opinione pubblica: due anni prima si era rifiutato di controfirmare una disposizione della Corte di Appello di Genova che dava il via libero alla proposta-ricatto delle Br di scarcerare otto loro compagni del “Gruppo XXII ottobre” in cambio della liberazione del giudice Mario Sossi, sequestrato il 18 aprile del 1974. Il giorno dopo l’assassinio di Coco nell’aula del tribunale di Torino il gruppo storico delle Br – composto da Renato Curcio, Alberto Franceschini e Prospero Gallinari e che si trovava a giudizio proprio per il sequestro Sossi – rivendicò la natura politica di quell’attentato su cui, a distanza di decenni, non è stata ancora posta la pietra definitiva della verità.
A fare da prologo al film di Saponara sono delle parole di Santa Brigida (“Manterrò le anime di tre tuoi parenti in uno stato di grazia”), ma cosa c’entra la martire svedese con la morte del giudice sardo? C’entra eccome, in quanto il luogo dove venne ucciso è la salita dell’arco di Santa Brigida nel centro storico di Genova.
Come si vede sullo schermo qui Coco (Giuseppe Pergola) e l’agente Giovanni Saponara (Simone Castano) vengono sorpresi dagli spari di tre terroristi, mentre Deiana (Cosimo Frascella), che sta attendendo il collega in macchina, verrà trucidato pochi istanti successivi da altri due brigatisti a bordo di una moto. Ma il fatto di cronaca sullo schermo fa da terreno di impulso, evento scatenante per narrare i momenti terribili vissuti dalla famiglia dell’agente lucano Giovanni Saponara, dai suoi due piccoli figli Gianluigi e Giuseppe e dalla moglie Angela, interpretata da un Donatella Finocchiaro sempre convincente quando il proprio volto deve prestarsi da “icona” di un sentimento ferito o di uno stato di dolore.
Nel lasciar scandire il suo lavoro dalle note di un famoso successo di quegli anni (“Tornerò” dei Santo California), il regista sceglie come linea di narrazione il dramma dei familiari di una vittima caduta per mano dei nemici dello stato democratico, ne porta sullo schermo il loro smarrimento, prova a guardare la tragedia con gli occhi dei due piccoli figli del poliziotto, di come la loro esistenza viene improvvisamente ed ingiustamente scombussola e che, ciononostante, per loro deve andare avanti. Spingere alla speranza, ritrovare, per dirla con Santa Brigida, “uno stato di grazia”.
Indubbiamente “8 giugno 1976” (ri)apre alla discussione gli anni di piombo, ma è un film sul lutto di una famiglia il cui nome, non volendo, lo si è ritrovato associato ad un tristissimo evento della storia ultima del nostro Paese.