Rivedendo “Fitzcarraldo” “Woyzeck” “Il mio nemico più caro” di Werner Herzog mi sono fioriti alcuni banali spunti di riflessione sul protagonista Klaus Kinski.
Che Klaus Kinski fosse un uomo molto difficile è fin troppo noto. Basta guardare l’omaggio che Herzog gli ha dedicato o i numerosi video che si possono trovare su di lui. Un egocentrismo paranoico così potente e anche imprevedibile da diventare, a volte, pericoloso. C’è un filmato in “Aguirre” dove Kinski si lancia su un gruppo di soldati, dando un colpo di spada nella testa ad una comparsa, ferendolo soltanto per la presenza protettiva dell’elmo.
Ma ho pensato che questa energia elettrica che irradia dagli occhi, dalle narici frementi, dalla bocca quasi famelica sia una delle ragioni della sua grandezza come attore. Solo che, grazie ad Herzog, non è rimasto soltanto una maschera fissa, un caratterista da utilizzare in alcuni particolari personaggi, come probabilmente è accaduto nella stragrande maggioranza dei film e filmacci da lui girati.
Klaus Kinski è stato un grande attore, perché questa forza energetica irradiante quasi folle l’ha innervata come violenza furiosa e esaltata in Aguirre, furore di Dio, in Cobra verde, in parte in Fitzcarraldo; ma anche nell’opposto come disperazione, che diventa fragilità, solitudine, vuoto, desiderio di morte come nel Woyzeck e in Nosferatu.
In comune, in ambedue i casi, l’inquietudine disperata, perché mai c’è felicità, mai c’è pacificazione, ma bisogno di essere altro: di essere Dio o di essere amato.
Herzog è simile a lui per un aspetto. Quella follia che Kinski conteneva nel volto, Herzog la riconosce, perché è una parte anche di sé. La differenza è che Herzog la razionalizza, la progetta e la fa diventare rappresentazione realizzandola, a volte, attraverso vere e proprie imprese cinematografiche. Si pensi soltanto a Fitzcarraldo. In Kinski diventava invece un fiume travolgente distruttivo e autodistruttivo.