Se dovessimo seguire una logica per raccontare e descrivere questo straordinario film di Ingmar Bergman, sarebbe la logica dei sogni.
E proprio come quando si sogna – che ti accorgi di aver vissuto in una allucinazione solo quando il sogno è finito – nello stesso modo capisci che sei stato condotto in logiche e strade “altre” solo quando il film è finito, e le luci si riaccendono in sala destandoti.
Fanny e Alexander è più che un film, ed è anche più che un sogno. Potrebbe trattarsi di un miracoloso intersecarsi di questi due tipi di non realtà: l’immaginazione ed il sogno. Bergman riesce a rappresentare e quindi svelare questo piano di intersezione – aggiungendo un livello di conoscenza – grazie alla sua potente maestria nell’utilizzare il linguaggio cinematografico. Perché di questo si tratta: di cinema.
Al di là dell’indubbia atmosfera onirica, Fanny ed Alexander – e qui sta il miracoloso – riesce a toccare corde vivide, vere, che richiamano in noi sicuri vissuti che, per quanto inconsci, non sono certo fittizzi o irreali. Trasportati dalla sapiente narrazione per immagini del regista, inconsapevoli spettatori, vediamo scorrere idee, pensieri, sensazioni già provate, stralci di vita nostra o altrui raccontati come solo una poesia può riuscire a raccontare, ovvero attraverso un che di illogico e con una sintassi improria che – essa sola – rivolta le nostre conoscenze e coscienze profonde per farle ri-affiorare sulla nostra superficie conscia.
C’è della poesia in questo film e come una poesia regala suggestioni.
Lo sguardo narrativo è quello di un bambino che ancora non sa e non distingue, è aperto, vergine, privo di pregiudizio, ricco di fantasia e soprattutto di speranza. E’ straordinario poter cogliere questo sguardo, farlo proprio. Fanny e Alexander ci porta a provare un grande fascino per quella fase della vita di tutti noi, tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, rapida e di possibile incanto. Il regista riesce a condurci lì, magistralmente e con grande facilità, facendoci avvertire il privilegio di esserne spettatori esterni.
Con Fanny e Alexander, come in sogno e come al teatro, sperimentiamo una forma di realtà non logica, a volte enfatizzata, che ci piace molto esperire, perchè è più che vivere. E’ superare le abituali categorie e fare ingresso in nuovi ambiti che scopriamo di avere già in noi, senza conoscerli.
Bergman è un eccezionale regista e Fanny ed Alexander un gran bel film, da vedere al cinema, con lo schermo gigante ed al buio. Un film è fatto di immagini e quelle che vediamo sono sempre immagini bellissime. La sicura bellezza delle immagini e la loro ricercatezza non possono stancare: le tre ore del film sono – oltre a tutto il resto – un vero e proprio appagamento estetico, di cui evidentemente il nostro “cervello” non smette di avere bisogno.
La bellezza delle immagini del film è reale. La narrazione è al limite di ciò che possiamo ritenere verosimile. Il risultato è un equilibrio che sa di magico e che porta a farci provare una bellissima sensazione di vertigine.
“Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono, l’immaginazione fila e tesse nuovi disegni”
Regia Ingmar Bergman
Soggetto Ingmar Bergman
Sceneggiatura Ingmar Bergman
Fotografia Sven Nykvist
Montaggio Sylvia Ingemarsson
Musiche Benjamin Britten, Daniel Bell, Frans Helmerson, Fryderyk Chopin, Marianne Jacobs, Robert Schumann
Costumi Marik Vos
Interpreti e personaggi
Pernilla Allwin: Fanny Ekdahl, Bertil Guve: Alexander Ekdahl, Ewa Fröling: Emilie Ekdahl, Gun Wallgren: Helena Ekdahl, Jarl Kulle: Gustav Adolf Ekdahl, Allan Edwall: Oscar Ekdahl, Borje Ahlstedt: Carl Ekdahl, Pernilla August: Maj, Jan Malmsjo: vescovo Vergérus, Erland Josephson: Isak Jacobi, Gunnar Björnstrand: Filip Landahl, Harriet Andersson: Justina
Paese di produzione Svezia, Francia, Germania Ovest, Anno 1982
Durata 197 min (cinema), 312 min (TV)