“Gli abbracci spezzati” di Pedro Almodòvar

di Gianni Quilici


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Pedro Almodòvar sa raccontare storie. Sorprendendo. Complicando.

In Gli Abbracci spezzati c’è il presente, un lungo passato, che ritorna nel presente in una circolarità che ci permette poi di comprendere e completare il puzzle; ci sono amour fou, gelosie, tradimenti e vendette, film e cinema.

L’inizio: il piacere di una storia storia senza l’emozione del cinema o della poesia. Uno sceneggiatore di mezza età (Lluis Homar), ex regista rimasto cieco per un terribile incidente d’auto, un rapporto sessuale con una giovane e bellissima ragazza bionda che l’aveva aiutato ad attraversare la strada, un giovane che gli propone di scrivere una sceneggiatura per un film che lui stesso vuole girare, il rifiuto netto dello sceneggiatore, perché “sa” che questo giovane fa parte di un passato che non vuole rivangare ecc, ecc.

Per una buona parte il film è la necessità della storia; di una storia che diventerà poi emozionante. E’ il passato che accende il film. Perchè il passato è passione e Almodovar sa trasmetterla come tale. Grazie anche ad un’attrice come Penélope Cruz.

La vediamo all’inizio angosciata, come figlia di padre moribondo e impiegata concupita da ricchissimo industriale; poi attrice un po’ futile e sensuale; infine donna appassionata e innamorata; la vediamo attraversare i diversi registri espressivi del film: dal dramma al comico, dalla commedia al mélo.

Dettagli di grande cinema: il sorriso folgorante che lei getta sul regista-sceneggiatore la prima volta che si guardano; la bellezza del suo volto disgustato che lentamente esce dal lenzuolo bianco che li aveva avvolti, dopo il rapporto con un marito che non tollera più.

E’ comunque la passione tra i due protagonisti il nucleo poetico della pellicola, che filtra attraverso la realizzazione del film nel film, nei loro baci e abbracci nascosti e frenetici e nella fuga nello scenario splendido e malinconico delle spiagge dell’isola di Lanzarote.

Almodovar costruisce questo dramma citando a piene mani da “L’occhio che uccide” a “Viaggio in Italia”, da Antonioni ad Hitchcock, da Sirk a se stesso. La fotografia è splendida, la colonna sonora (Alberto Iglesias), s’insinua quasi inavvertitamente nelle variazioni di registro del film.

Le storie, quando sono di contorno, come quella dell’agente cinematografica del protagonista (una magnifica Blanca Portillo) e di suo figlio spiegano troppo, sono macchinose e deconcentrano la tensione, mentre è efficace (visivamente) la gelosia ossessiva del marito di lei, che ricorrere a tutti i mezzi, pur di non perderla.

“Alla fine, però,” – scrive Roberto Silvestri su Il manifesto– “nello struggente flamenco finale, con il suo ripetitivo ritmo avvolgente e mortale, offre la chiave del film, della vita e del cinema. L’accettazione della vita, un grande sì alla vita, fin dentro la morte, la fine, il The end”.

Gli abbracci spezzati – Los abrazos rotos –

Regia: Pedro Almodòvar

Sceneggiatura: Pedro Almodòvar

Cast: Penélope Cruz, Rossy De Palma, Rubén Ochandiano, Carlos Leal, Ángela Molina, Lola Dueñas, Lluís Homar, Tamar Novas, Blanca Portillo

Scenografia: Antxón Gómez

Musiche: Alberto Iglesias

Montaggio: José Salcedo

Fotografia: Rodrigo prieto Ayers

Costumi: Sonia Grande

Spagna: 2009

Durata: 124 minuti.


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