“ Il dubbio nella critica” di Gianni Quilici

attesaVedo L’attesa di Piero Messina. Film curatissimo nella composizione dell’immagine, nella profondità della recitazione, nella scelta dei tempi del montaggio, nel lasciare implicito ciò che non è necessario conoscere subito, nel cogliere e nel motivare alla fine le ragioni di un comportamento strano  da parte di una madre a cui è morto, non sappiamo come, il figlio.

Tuttavia rimango perplesso. L’attesa non mi ha convinto fino in fondo. Ci ho sentito un estetismo ricercato, una macchinazione costruita a tavolino con una logica certamente intelligente e molto cinematografica, incarnata tuttavia da un’attrice, Juliette Binoche, straordinariamente brava nelle tante sfaccettature, di cui il personaggio interpretato si avvale.

Tuttavia di questa impressione non sono sicuro. Dovrei rivederlo per avere forse un giudizio sicuro o più sicuro.

Questa condizione di incertezza è importante ed andrebbe praticata più di quanto succeda, perché il dubbio, scriveva Fausto Bertinotti, è una forma di igiene mentale. E comunque mi ha suscitato alcune riflessioni, ne sono consapevole, più o meno, scontate.

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Il film e il critico

Il critico, in generale, non può essere un giudice insindacabile. Come in qualsiasi settore del pensiero non esiste la perfezione.

Il giudizio su un film (come su un romanzo) nasce inevitabilmente da un rapporto con se stessi, con la propria visione del mondo,  con le proprie esperienze esistenziali, con la propria cultura,  spesso anche con i propri gusti e inclinazioni e infine anche con le contingenze in cui viviamo la visione o la lettura.

In ogni caso il film (come il romanzo) dovrebbe essere vissuto come un viaggio dentro e fuori di noi, ad occhi e cuore aperti, disponibili a cogliere ciò che ci può allargare, ciò che non si conosceva, che non si percepiva, anche quando il film (come il romanzo) non ci parla o non ci piace, perché a creare non è soltanto l’opera, è anche lo stesso critico, perché se l’opera è banale, a creare può essere il critico stesso con le sue ragioni, con le sue motivazioni.

Il punto più alto forse è quando un film ( o romanzo) non solo ci parla ma ci provoca,  instilla dentro di noi scintille, che ci mettono in discussione, ci sommuovono, ci mutano.

Ma non tutto si può capire o si può essere certi di avere capito.

Non è che certi giudizi secchi e perentori, quando motivati e illuminanti, non mi piacciano, anzi mi attira una presa di posizione chiara; trovo fastidio quando un prodotto  complesso viene liquidato con un giudizio tanto netto quanto sommario, perché non ci lascia niente, neppure l’atto di generosità estetico-critica di chi ci regala le ragioni di questo dissenso.


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