“Taxi Teheran” di Jafar Panahi

panahari-taxi-teherandi Gianni Quilici

C’è un dato da cui partire, che va scritto per chi non lo conoscesse: Jafar Panahi, attore protagonista come conducente del taxi e regista del film è stato condannato dalla giustizia iraniana a 20 anni di divieto di girare film, pena la detenzione per sei anni.
Taxi Teheran girato senza permessi, rubato, con la presenza di personaggi-attori, che rischiano a loro volta la galera, nasce dalla sfida contro questo divieto ed è la terza volta che accade.  Proprio per questa ragione il film, girato  con una videocamera ad alta definizione e di ridotte dimensioni, una Black Magic, che l’autore ha potuto nascondere all’interno di diverse scatole di fazzoletti, per non attirare l’attenzione , non può essere stato curato, come succede in un normale prodotto cinematografico.

Il taxi che gira per Teheran diventa l’occhio che vede, che ascolta, rappresentando un clima di apparente normalità: la capitale percorsa da un traffico incessante, senza un’apparente presenza poliziesca, ne’ tantomeno di coprifuoco. Quello che Marcuse definirebbe il moderno totalitarismo. Sono le parole dei passeggeri, i loro diverbi che illuminano sullo stato di cose presenti: un ragazzo impiccato per avere rubato, giovani donne ‘colpevoli’ di essersi fatte trovare non dentro ma solo nei pressi di uno stadio, una scuola che censura qualsiasi sguardo vero sulla realtà e così via.

Lo scopo di Panahi mi sembra chiaro: realizzare un documentario film; fare, cioè, un cinema verità, attraverso una finzione dichiarata esplicitamente  più volte, in una situazione produttiva, come detto, difficilissima. Per questo non sempre riesce nel suo intento come per esempio nella sequenza del ferito morente portato all’ospedale.

Un cinema verità che rappresenta una tragedia con grande leggerezza. Perché lascia liberi, non giudica. C’è infatti chi ha sposato le ideologie del regime (un arrogante borseggiatore), oppure c’è chi, come la giovanissima nipotina, non ha gli strumenti per giudicare o  come le due sorelle indisponenti che si preoccupano soltanto del loro pesciolino rosso… E  c’è, invece, chi come la ”signora delle rose”, avvocatessa e amica del regista,  inizia a parlare delle torture alle quali il Governo iraniano quotidianamente ti pone innanzi.

In fondo si potrebbe dire che la protagonista di Taxi Teheran è la videocamera. E’ lei che filma il finale, quando Panahi con la nipotina lascia la macchina alla ricerca delle due sorelle con il pesciolino rosso. Mentre spariscono alla nostra vista improvvisamente lo schermo si fa nero e si sente un rumore di vetri rotti. Qualcuno dopo aver sfondato il parabrezza del taxi dice:”c’è la telecamera ma non la memory card”

Taxi Teheran  di Jafar Panahi. Con Jafar Panahi Titolo originale Taksojuht. durata 82 min. – Iran 2015.


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