Godard è un regista per critici. Per critici cinefili. Perché pensa il cinema. Quindi si presta benissimo al discorso ed anche alla teoria.
Prendiamo Vivre sa vie (Questa è la mia vita così tradotto in italiano).
Ci sono diverse novità linguistiche che Gianni Volpi riassume in questo modo:
“ far sentire la cinepresa, la citazione visiva o sonora, la didascalia a interrompere il flusso delle immagini, il rifiuto del campo-controcampo, l’uso della ripetizione e dei tempi morti, il bar come luogo topico e scenografia naturale, l’intervista, il cinema (un intero brano del Processo di Giovanna d’Arco di Dreyer su cui si innestano i primi piani di Nanà, “paesaggio di un’anima e senso dell’ermeneutica”), la lettura di brani di libri, il senso sartriano della situazione, rappresentazione e verità del linguaggio tra Platone e Hegel, la logica degli attori e quella dello spettatore, la voce fuori campo e spesso in dissonanza, i momenti classici e quelli stranianti, forma discontinua di una interpretazione di sé e dell’esistenza”.
Il punto è: questi sguardi cinematografici sono inseriti in un tessuto che li rende espressivi oppure si presentano soltanto o soprattutto come ricerca sperimentale o come provocazione linguistica?
La mia risposta è che attraverso un modo originale di vedere il cinema Godard è espressivo.
Perché incorpora il linguaggio dentro un personaggio articolato e complesso che diventa, a volte, poetico e che poetico lo diventa alla fine per quello che ci lascia a noi spettatori.
Nanà è un’impiegata che diventa, suo malgrado e per una serie di circostanze, una prostituta; una prostituta come molte altre a Parigi, come il film stesso documenta in uno dei 12 quadri, da cui è composto.
Solo che Nanà è una vittima, per molti versi, innocente; e ci tocca intellettualmente e sentimentalmente. Ci tocca intellettualmente, perché esprime una ricerca su di sé e sull’esistenza stessa (il colloquio con il filosofo); ci tocca sentimentalmente soprattutto nelle due bellissime sequenze: le lacrime di fronte alle immagini del Processo di Giovanna d’Arco (e questa meriterebbe un’analisi particolareggiata); e quando il giovane ragazzo, attraverso la voce di Godard, le legge Il ritratto ovale di Poe, che si riflette poeticamente sul volto intenso di Nanà-Anna Karina.
Non solo ci tocca noi spettatori, ma pure lo stesso regista, che, è vero, ha quasi sempre un rapporto di distanza con l’immagine ( a volte sadica addirittura), ma che anche si innamora di lei non solo con i primi e primissimi piani, ma con l’impiego della musica di Michel Legrand, che tende a sacralizzare la storia. Un uso, tuttavia molto parco e veloce, senza nessun compiacimento, come invece sarebbe stato facile, se Godard avesse cercato il rapporto identificativo dello spettatore con Nanà.
QUESTA E’ LA MIA VITA Vivre sa vie
Regia Jean-Luc Godard
Soggetto e Sceneggiatura: Jean-Luc Godard
Interpreti e personaggi
Anna Karina: Nana Kleinfrankheim
Sady Rebbot: Raoul
André S. Labarthe: Paul
Peter Kassovitz: il giovane
Brice Parain: il filosofo
Fotografia Raoul Coutard
Montaggio Agnès Guillemot
Musiche Michel Legrand
Francia 1962
Durata: 85 minuti