“L’ultimo rifugio delle canaglie il cinema e la Grande guerra 1914-2014” di Enrico Giacovelli

copj170.aspdi Mimmo Mastrangelo

Non fu per niente un incidente la prima guerra mondiale, le Nazioni erano consapevoli a cosa andavano incontro una volta mandate in trincea le milizie.

Non  per caso lo storico e saggista inglese Max Hastings ci ricorda  che ancora oggi in Europa si pensa che la grande guerra si poteva evitare, ma nel 1914  i governanti la pensavano diversamente: il conflitto doveva servire loro  per fini strettamente politici ed economici. Tutti i Paesi vollero il conflitto e nessuno fece niente per fermarlo.

Anche l’Italia  commise il grande errore di lasciarsi risucchiare dentro  a partire dal 1915, e alla luce degli orrori che  poi si  consumarono fu  pura follia  aderirvi. Le popolazioni del tempo dovettero subire  una  schiacciante propaganda guerrafondaia messa in moto dai singoli governi, al punto che forte  fu il  sentimento  patriottardo che si diffuse in loro oltre che tra i soldati. Solo alla fine delle ostilità si scoprì del grande bluff che era stata la guerra e delle falsità che vi  furono cucite intorno.
Una bugia che, inoltre, fu alimentata anche  da una certa cinematografia  prodotta durante gli anni del conflitto e subito dopo. Le pellicole che passavano sugli schermi di Francia, Inghilterra, Austria, Italia, Germania erano state pensate e realizzate per  infondere la fiducia e il consenso tra il popolo, nonché per foraggiare l’odio collettivo verso il nemico.

Il più alto esempio  di propaganda cinematografica  guerrafondaia fu il lacrimevole melodramma  Cuori del mondo (1918) del regista statunitense David Wark Griffith il quale poté realizzare il suo lavoro grazie  al sostegno dei  governi di Francia e Gran Bretagna.

Fatta eccezione per qualche isolata opera come il mediometraggio Charlot soldato (1918) di Charlie Chaplin, solo dopo l’arrivo  del sonoro   iniziarono a realizzarsi pellicole che mettevano in luce le ombre e le atrocità del conflitto, come dimostra  Enrico Giacovelli nel suo attento (ed impertinente) volume da poco uscito L’ultimo rifugio delle canaglie il cinema e la grande guerra 1914-201 (Edizioni Quaderni di Cinema Sud).

Con gli anni  trenta il cinema  rivolse  uno sguardo non menzognero sulla guerra, evidenziò scenari epici,  drammatiche storie private e collettive, contrassegnò le narrazioni della barbarie e dei  tradimenti. Solo per citare alcuni titoli: All’ovest niente di nuovo (1930) di Lewis Milestone, La grande illusione (1937) di Jean Renoir, Il sergente York(1941) di Haward Hawks, Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, Uomini contro(1970) di Francesco Rosi, Gli anni spezzati (1981) di Peter Weis, Capitan Conan (1996) di Bertrand Tavernier sono film in cui si specchia  uno dei più feroci e insensati crimini della storia  dell’umanità (oltre 15 milioni furono le perdite umane tra civili e militari). E questo  non andrebbe dimenticato. Soprattutto nelle scuole,  tra i giovani di oggi e di domani.

Scrive Enrico Giacovelli: “Se nessuna guerra, guardata con gli occhi della saggezza, ha un senso, quella  che distrusse un’intera civiltà fra il 1914 e il 1918 ne ebbe meno di ogni altra. Il suo risultato massimo,  a parte un significato alleggerimento  della popolazione  mondiale, fu di provocarne una simile, quasi speculare, vent’anni dopo… Quasi tutte le guerre si sono fatte per farne ancora,  perché la guerra è un prodotto industriale e quando un prodotto si esaurisce bisogna subito proporne un altro”.  

ENRICO GIACOVELLI. “L’ULTIMO RIFUGIO DELLE CANAGLIE IL CINEMA E LA GRANDE GUERRA 1914-2014” . EDIZIONI QUADERNI CINEMA SUD.


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