Non fu per niente un incidente la prima guerra mondiale, le Nazioni erano consapevoli a cosa andavano incontro una volta mandate in trincea le milizie.
Non per caso lo storico e saggista inglese Max Hastings ci ricorda che ancora oggi in Europa si pensa che la grande guerra si poteva evitare, ma nel 1914 i governanti la pensavano diversamente: il conflitto doveva servire loro per fini strettamente politici ed economici. Tutti i Paesi vollero il conflitto e nessuno fece niente per fermarlo.
Anche l’Italia commise il grande errore di lasciarsi risucchiare dentro a partire dal 1915, e alla luce degli orrori che poi si consumarono fu pura follia aderirvi. Le popolazioni del tempo dovettero subire una schiacciante propaganda guerrafondaia messa in moto dai singoli governi, al punto che forte fu il sentimento patriottardo che si diffuse in loro oltre che tra i soldati. Solo alla fine delle ostilità si scoprì del grande bluff che era stata la guerra e delle falsità che vi furono cucite intorno.
Una bugia che, inoltre, fu alimentata anche da una certa cinematografia prodotta durante gli anni del conflitto e subito dopo. Le pellicole che passavano sugli schermi di Francia, Inghilterra, Austria, Italia, Germania erano state pensate e realizzate per infondere la fiducia e il consenso tra il popolo, nonché per foraggiare l’odio collettivo verso il nemico.
Il più alto esempio di propaganda cinematografica guerrafondaia fu il lacrimevole melodramma Cuori del mondo (1918) del regista statunitense David Wark Griffith il quale poté realizzare il suo lavoro grazie al sostegno dei governi di Francia e Gran Bretagna.
Fatta eccezione per qualche isolata opera come il mediometraggio Charlot soldato (1918) di Charlie Chaplin, solo dopo l’arrivo del sonoro iniziarono a realizzarsi pellicole che mettevano in luce le ombre e le atrocità del conflitto, come dimostra Enrico Giacovelli nel suo attento (ed impertinente) volume da poco uscito L’ultimo rifugio delle canaglie il cinema e la grande guerra 1914-201 (Edizioni Quaderni di Cinema Sud).
Con gli anni trenta il cinema rivolse uno sguardo non menzognero sulla guerra, evidenziò scenari epici, drammatiche storie private e collettive, contrassegnò le narrazioni della barbarie e dei tradimenti. Solo per citare alcuni titoli: All’ovest niente di nuovo (1930) di Lewis Milestone, La grande illusione (1937) di Jean Renoir, Il sergente York(1941) di Haward Hawks, Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, Uomini contro(1970) di Francesco Rosi, Gli anni spezzati (1981) di Peter Weis, Capitan Conan (1996) di Bertrand Tavernier sono film in cui si specchia uno dei più feroci e insensati crimini della storia dell’umanità (oltre 15 milioni furono le perdite umane tra civili e militari). E questo non andrebbe dimenticato. Soprattutto nelle scuole, tra i giovani di oggi e di domani.
Scrive Enrico Giacovelli: “Se nessuna guerra, guardata con gli occhi della saggezza, ha un senso, quella che distrusse un’intera civiltà fra il 1914 e il 1918 ne ebbe meno di ogni altra. Il suo risultato massimo, a parte un significato alleggerimento della popolazione mondiale, fu di provocarne una simile, quasi speculare, vent’anni dopo… Quasi tutte le guerre si sono fatte per farne ancora, perché la guerra è un prodotto industriale e quando un prodotto si esaurisce bisogna subito proporne un altro”.
ENRICO GIACOVELLI. “L’ULTIMO RIFUGIO DELLE CANAGLIE IL CINEMA E LA GRANDE GUERRA 1914-2014” . EDIZIONI QUADERNI CINEMA SUD.