Manlio Gomarasca trasforma in realtà il libro della sua vita, promesso ai fan di Tomas Milian da almeno quindici anni, dai tempi in cui Nocturno Cinema era soltanto una fanzine.
Monnezza amore mio – strutturato come un dialogo tra il personaggio e l’attore – è frutto dei ricordi di Milian e della sua volontà di raccontarsi a ruota libera, ma è soprattutto merito di una scrittura nitida e ammaliante di Gomarasca che ti obbliga a continuare nella lettura come se tu sfogliassi un thriller.
Tomas Milian da buon cubano racconta la sua verità, com’è giusto che sia, perché il libro è la sua biografia, non un saggio di cinema. Una verità che non piacerà a Dardano Sacchetti e Umberto Lenzi, che per anni si sono disputati la paternità del Monnezza, perché l’attore afferma di essere l’inventore del personaggio, di aver scritto dialoghi e battute, di aver ideato look, smorfie, parolacce, rime baciate, imprecazioni.
Peccato che nel libro non ci sia spazio per Ferruccio Amendola, doppiatore che ha contribuito al successo di Milian, mentre Bombolo e Quinto Giambi sono citati a dovere.
Per il resto, non manca niente: il suicidio del padre, l’Actor’s Studio, il successo italiano, il triste ritorno negli Stati Uniti. Pagine che raccontano la bisessualità, il rapporto con la famiglia e con un figlio riconquistato dopo un breve abbandono, il consumo di droga, la crisi provocata da alcol e cocaina, la vocazione mistica e il viaggio in India.
Monnezza amore mio è un libro che mi fa tornare alla memoria la quantità industriale di pellicole viste da ragazzetto in un cinema di seconda visione della mia città. Quella sala, che io ricordo bellissima ma che forse non lo era, si chiamava Cinema Teatro Sempione e la domenica era presa d’assalto da frotte di ragazzini che facevano la ressa al botteghino per acquistare il biglietto. C’ero anch’io tra quei ragazzini, ricordo che ci davamo botte, spinte e calci per entrare e aggiudicarci i posti migliori. Prima di entrare in sala si doveva far provvista al banchetto della signora che vendeva semi, noccioline, duri alla menta, stringhe di liquirizia… Il posto in galleria era il più ambito, ché le bucce dei semi e delle noccioline erano armi di prima scelta per bersagliare quei poveracci della platea. Al Sempione proiettavano due pellicole alla volta, entravi alle tre del pomeriggio e ne venivi fuori che era ora di cena. Di solito passavano film di genere, da sala di seconda visione, un ricordo del passato, sono locali scomparsi, uccisi dalla televisione.
Al Sempione mi sono visto il ciclo storico di Godzilla, il peplum all’italiana, spaghetti-western in quantità industriale, poliziotteschi che non vi dico, horror di Bava, Freda, Fulci, D’Amato, pellicole comiche di Totò, Franco e Ciccio, Gianni e Pinotto. Tutto quel che piaceva a noi ragazzini degli anni negli anni Settanta lo programmavano al Sempione.
Mi fa una rabbia oggi passare per Corso Italia, che sarebbe la strada principale del luogo dove vivo, e vedere che al posto del Sempione c’è una profumeria. Del Sempione è rimasta la facciata, il ricordo di quel che era, l’insegna è la stessa ma dentro vendono profumi invece che emozioni. E mica è la stessa cosa. Quando ne discussero in Consiglio Comunale non ci fu un assessore contrario, non uno a dire: “Il Sempione sarebbe proprio un bel cinema d’essai”. Nessuno. Va bene, andiamo avanti così. Facciamoci del male, direbbe Nanni Moretti.
Ho scoperto Tomas Milian proprio sulle scomode panche di legno del Sempione. Dal 1968 al 1972 lui era alle prese con lo spaghetti-western e io ero un ragazzino di otto – dodici anni che la domenica andava al cinema con la nonna, grande divoratrice di cinema. Io amavo quei film, mi emozionavano, mi facevano sognare. E poi ero convinto che fossero americani, mica me ne intendevo di cinema, mi bastava vedere film d’avventura. Un bel giorno fu mio padre a distruggere il sogno. Mi venne a dire che erano spaghetti-western e che li giravano in Sardegna, quando andava bene in Spagna, ma in America e in Messico proprio no, erano posti che i registi non avevano visto neppure in cartolina. Forse per questa sorta di choc giovanile ancora adesso mi è rimasta la fissa del cinema italiano.
Tomas Milian ha accompagnato la mia giovinezza pure negli anni che è passato al poliziottesco. Tutti film che mi sono visto in prima visione al cinema più grande della città, che è sopravvissuto alle televisioni commerciali e si chiama Metropolitan. Ero ancora più grande, studente di liceo e universitario, quando andavo a vedere Nico Giraldi e Venticello, sganasciandomi dalle risate seguendo trame improbabili e dialoghi al limite del turpiloquio. C’è stato un lungo periodo che me lo sono perso il buon Tomas Milian, tutti dicevano che se n’era andato negli States, che non ne voleva più sapere di quel personaggio da trucido. Forse aveva anche ragione, mica poteva fare il Monnezza e Nico Giraldi per tutta la vita. Adesso capita che Tomas Milian lo rivedo in televisione quando passano Havana, Arturo Sandoval o JFK, ma non è più lui, è un caratterista di lusso, pelato e ingrassato. Cosa ci posso fare se per me Tomas Milian resta sempre quello che indossava la parrucca da trucido del Monnezza? Ci ho persino scritto un libro (Il trucido e lo sbirro, Profondo Rosso), dedicato a mio figlio, che dieci anni fa s’è rivisto con me tutto il cinema di Tomas Milian. E poi con Cuba e con i cubani ho un legame importante…
Grazie Gomarasca, hai fatto davvero un ottimo lavoro, regalando uno stile impeccabile ai ricordi di Tomas Milian. Un vero gioiello. Imperdibile per gli appassionati.
Tomas Milian Monnezza amore mio
con Manlio Gomarasca
Rizzoli – Pagine 296 – Euro 18,50 E-Book 10,99