Da quando iniziarono a lavorare nel cinema nel 1913 e fino al 1928, Elvira Coda Notari e suo marito, il fotografo e pittore Nicola Notari, girarono tra Napoli, i comuni Vesuviani e Avellino, con la casa di produzione Dora Film di loro proprietà, oltre un centinaio di opere tra cortometraggi e lungometraggi. Poi la Dora Film cessò la sua irrefrenabile attività per la quasi totale stabilizzazione dell’industria cinematografica a Roma e a causa della censura imposta dal regime fascista il quale riteneva i lavori dei Notari, su realtà socialmente degradate e malavitose, diffamatori per il buon nome del Paese.
Nata a Salerno nel 1875, Elvira Notari è da considerarsi la prima regista donna nella storia del cinema italiano, a lei Paola Vacca e i videomakers Licio Esposito e Mario Franco (già autore, insieme allo storico del cinema Stefano Masi, del saggio “Il mare, la luna i coltelli”, uscito nel 1988 per Pironti Editore) hanno dedicato la mostra “La filma di Elvira”, allestita in occasione della trentanovesima edizione del Festival Laceno d’Oro negli Spazi dell’ex–carcere Borbonico di Avellino. L’esposizione, che vuole ridare una giusta (ri)collocazione nella storia del nostro cinema al nome della Notari troppo presto dimenticato, segue i momenti salienti di una carriera che porta con sé pure dei semi anticipatori del neorealismo.
Servendosi di immagini, fotografie del tempo, notizie storiche, reperti filmati e degli unici tre film non andati dispersi – E’ piccirella (1921) , “A santa notte” (1922) “Fantasia ‘e surdato” (1927) – i curatori hanno rimesso ordine in una filmografia che ebbe un successo popolare senza eguali.
I film della Notari, tra cui vanno ricordati altri titoli come “La maschera del vizio (1917), “Gnesella” (1918), “Il miracolo della Madonna di Pompei” (1922), “Napoli terra d’amore” (1928), ebbero una grande diffusione nelle sale di Napoli e di tutto il Meridione, ma le pellicole della Dora Film riuscirono a varcare l’oceano ed essere acclamate tra gli italiani emigrati nelle Americhe, nonostante il “visto negato” dal ministero della cultura il quale – infastidito soprattutto dalla “zumpata”, il duello a coltello tra due guappi – sosteneva che “i panni sporchi dovevano lavarsi in famiglia” e, quindi, non andava diffusa all’estero un’ immagine stracciona dell’Italia.
Sceneggiati in dialetto, ispirati alle canzoni dei vari Bovio, Fiore, Di Giacomo, Bixio ed interpretati spesso da attori non professionisti, i film cosiddetti “imbibiti” per colorazione del nastro che avveniva con dei bagni dopo lo sviluppo, narrano di donne amatissime e poi abbandonate dai loro spasimanti, di uomini fascinosi spesso coinvolti in affari malavitosi, di madri agguerrite decise a difendere con ogni mezzo l’onore delle proprie figlie e famiglie.
Lavoratrice instancabile (arrivava a sceneggiare e girare anche quattro opere in un anno), intelligente e di vastissima cultura, dal carattere energico che strideva con il suo minuto fisico, Elvira Notari veniva chiamata dai suoi nemici “la carabiniera”, ma era al contempo generosa e “capace di dolcezze squisite”.
Dirà in un’intervista il figlio Eduardo – che ha sempre recitato nei film dei genitori la parte del piccolo Gennariello – “mia madre fu una donna eccezionale, fece la fortuna e la felicità di mio padre e di noi tutti”. Stanca e delusa per l’accanimento del fascismo contro la Dora Film, Elvira Notari abbandonò il cinema agli inizi degli anni trenta e si trasferì a Cava dè Tirreni, nella abitazione dei nonni paterni, dove morirà nel 1946.
AVELLINO – EX-CARCERE BORBONICO. MOSTRA “LA FILMA DI ELVIRA”, OMAGGIO AD ELVIRA NOTARI. ALLESTIMENTO A CURA DI PAOLA VACCA, LICIO ESPOSITO E MARIO FRANCO. APERTURA FINO AL PROSSIMO 15 OTTOBRE