Ferreri coglie negli anni ’60 ciò che era nell’aria, ma ancora non era esploso. I desideri di libertà della donna. La libertà sentimentale, la libertà sessuale. E rovesciando il paradigma maschile: avere non un uomo con cui sposarsi, ma più uomini, senza sposarsi e alla luce del sole.
In questo film, per sua dichiarazione, scopre il linguaggio cinematografico: da un lato realizzando un film, in cui il montaggio sia l’ultimo dei processi creativi, dopo la sceneggiatura e le riprese, che cambiano o possono cambiare il senso del film; dall’altro svuotando il più possibile la storia di lei e dei quattro uomini da ogni intreccio narrativo e di luogo.
Non una commedia, come del resto non erano le altre (L’ape regina per esempio), ma, in modo più evidente, un apologo.
In questo film il regista vuole dimostrare che il desiderio di Margherita, questo è il nome della ragazza, di convivere con più uomini, non solo non era possibile, ma sarebbe diventato per lei distruttivo.
Marco Ferreri realizza un film non psicologico, ma ideologico; una pellicola in cui i personaggi sono, cioè, portatori di idee, anche se molto semplici.
Il risultato è, però, a mio parere, deludente. Perché la figura di Margherita, e l’interpretazione di Carroll Baker, sono inadeguate a questo “messaggio”. Infatti è una ragazza scialba, che ha rapporti convenzionali con uomini scialbi.
Solo nel finale “L’harem” prende quota. Quando Margherita viene sottoposta al processo della torre. In quelle sequenze la coalizione sopraffattrice degli uomini e soprattutto il dolore muto e indecifrabile di lei crea una tensione dialettica e figurativa tra il tono funebre dell’esecuzione e la bellezza marina del luogo.
L’harem
di Marco Ferreri. Con Carroll Baker, Renato Salvatori, Gastone Moschin, Michel Le Royer, Billl Berger, durata 96′ min. – Italia 1967.