di Maddalena Ferrari
Ambientato in piena II guerra mondiale, nella Francia occupata dai Nazisti, con la persecuzione degli ebrei e con personaggi storici del calibro di Hitler e di Goebbels, il film di Tarantino è fuori dalla Storia, fuori dalla società, fuori persino dall’umanità. La Storia dà al regista americano una griglia, con coordinate ben precise, in cui egli colloca e fa muovere le sue pedine. Le quali acquistano spessore vitale, grazie alla forza e all’intensità di sentimenti e desideri estremi e primordiali, quali l’odio, la vendetta, la paura; oppure in forza della capacità creativa che ha Tarantino nel tessere una ragnatela di rapporti di tensione e nel padroneggiarla.
Anche qui, come negli altri suoi lavori, il regista gioca (divertendosi e divertendo) con il caso e le coincidenze, con i particolari insignificanti che ribaltano le situazioni e con l’inanità degli sforzi tesi a raggiungere ciò che si rivela per lo più un miraggio. Gioca con la violenza, fisica e psicologica. E gioca con il cinema: citazioni e autocitazioni, contaminazioni, ribaltamenti…
E lasciamo stare se alcuni personagi o parti della pellicola sono troppo ridotti a luoghi comuni vuoti per essere espressivi (Brad Pitt, gli scalpi ecc.: inutili cattiverie e sadismi); il film è una fantasmagoria di invenzioni ed emozioni. La grande scena finale dell’incendio del cinema, dove si celebra, presenti addirittura Hitler e gerarchi annessi, l’ “eroe” nazista, che ha ucciso tanti nemici della Germania, con il fuoco rutilante che fa da sfondo all’agitarsi frenetico di figure nere impazzite dal terrore e dal dolore, ha una connotazione epico-tragica e nello stesso tempo, nel suo richiamare analoghe sequenze del cinema del passato, ma anche i cartoons, con quei contrasti netti di colore e la nettezza dei tratti di contorno della massa di personaggi, rivela la sua “falsità”, la sua essenza di elemento e mezzo di divertimento.
La figura emblematica del film è il colonnello delle SS Hans Landa: freddo, determinato e implacabile, con quel suo volto luminoso di biondo, occhi azzurri, labbra ben disegnate, pronte ad un sorriso ambiguo e inquietante, questi ha la tipologia del detective intelligentissimo e dotato di un fiuto infallibile, capace di cogliere e collegare indizi con fulminea velocità, e del nemico-cattivo, dalla crudeltà efferata e raffinata. Ed è un peccato che alla fine il regista lo sgonfi e lo svuoti, riducendolo e banalizzandolo: uno sberleffo inutile e inefficace.
Comunque intorno a questo personaggio ruotano gli episodi più tesi e intensi: il primo, bellissimo, che è poi il prologo della storia, con quella casa colonica in mezzo ad una campagna aperta, inondata dal sole e poi il rumore, prima in lontananza e poi via via sempre più vicino, della jeep dei nazisti ed infine l’angoscioso interrogatorio fatto al contadino da Landa, che è a caccia di ebrei. E, ancora, l’incontro tra l’ufficiale e la giovane ebrea che gli è sfuggita e che lui quasi sicuramente, senza conoscerla, ri-conosce.
In entrambi i casi c’è l’elemento del sospetto, topos dei thriller, che è presente anche in un altro bell’episodio, quello della locanda, dove si incontrano nazisti e cospiratori e ognuno sa dell’altro e sta in fibrillazione, pronto a sparare.
BASTARDI SENZA GLORIA (Inglourious Basterds)
Regia: Quentin Tarantino
Cast
Tenente Aldo Raine: Brad Pitt
Col. Hans Landa: Christoph Waltz
Frederick Zoller: Daniel Brühl
Bridget von Hammersmark: Diane Kruger
Sergente Donnie Donowitz: Eli Roth
Generale Mike Myers: Mike Myers
Shosanna Dreyfus: Mélanie Laurent
Sceneggiatura:
Quentin Tarantino
Fotografia:
Robert Richardson
Montaggio:
Sally Menke
Scenografia:
David Wasco
Costumi:
Anna B. Sheppard
Anno: 2009
Nazione: Stati Uniti d’America
Durata: 152 min