Appaiono improvvise le Alpi dall’autostrada… nella luce trionfante… bianche innevate…
In Piazza San Carlo una di quelle maschere statuarie con maschera, cappellino piumato e guanti tutto in bianco con in una mano una colomba forse di gesso. Graziosa. La fotografo, infilo delle monetine nel saccoccio, mi invia, soffiandolo, un bacio e la ri.fotografo avvicinandomi. Immagino l’inizio di un film. La piazza è piena di banchetti bio nella luce già alta del mattino.
Esauriti i posti per il doc. su Alda Merini. “Si inizia male” penso. Non sarà così, tranne in un’altra occasione, tutto filerà liscio.
The husband di Bruce McDonald è un film su tradimento e perdono. Henry ha un’ossessione: la moglie insegnante ha fatto sesso con uno studente 14enne ed è in carcere e lui non riesce a superare la doppia frustrazione di essere stato tradito da lei e soprattutto con un ragazzino. Il regista rende bene questa nevrosi. Peccato che lasci che lei, la moglie, subisca soltanto il senso di colpa, non affermi la libertà di avere sbagliato e anche pagato. McDonald capisce nel profondo il marito, stando però dalla sua parte.
Two-Laner Black top, ovvero Strada a doppia corsia di Monte Hellman. Un film mitico per i cosiddetti cinefili. Un film anni ’60 on the road. Due automobilisti viaggiano su una Chevrolet truccata e partecipano a gare. Un film libero, a tratti vagamente surreale nel suo realismo, con la bella maschera di Warren Oates.
Rivedo California Poker di Robert Altman con due attori qui indimenticabili come Elliott Gould e George Segal. Alcune sequenze da antologia cinematografica, in cui immagine, musica e canzone si intrecciano magnificamente. Però non regge la lunghezza: a lungo andare diventa ripetitivo.
Blood Pressure di Sean Garrity. Film seducente. Ad una donna frustrata arriva una lettera anonima, di chi sembra conoscerla bene e poi un’altra e un’altra ancora in un gioco sempre più intrigante e misterioso. All’inizio mi è sembrato un film fin troppo scritto (bene) a tavolino; rivela poi la verità profonda di una donna “viva in trasformazione” che Nicole Giroux, interpreta efficacemente.
Loubia Hamra di Red Beaus. Privo di ritmo, alterna sequenze sciatte e prolungate ad alcune riuscite di impronta surreale.
C. O. G. di Kyle Patrick Alvarez. Davide, giovane intellettuale di buona famiglia, va a raccogliere le pere nell’Oregon ma, lasciato dalla sua ragazza, si trova solo in un ambiente povero e violento. Peccato che David rimanga soltanto una vittima, che sia uno sconfitto senza combattere, quando all’inizio della sua avventura appariva tutt’altro: lucido e ironico.
Big Bag Wolwes di Ahron Keshales: un film ambiguo, così mi è sembrato, nel senso deteriore del termine. Alcune bambine sono state stuprate e orribilmente uccise. Il padre di una di esse si vendica nello stesso modo. Ed il regista ne è partecipe nelle riprese insistite di orribili torture, con una musica assordante ed enfatica.
The Uprising di Peter Snowdon. Un bel progetto: raccogliere i video, alcuni necessariamente anonimi, della cosiddetta “Primavera araba”, dando loro un minimo di struttura. Da sottolineare i video, in cui chi gira è così dentro la manifestazione, che nel momento che inquadra giovani riversi sul selciato in bagni di sangue, lui stesso è a rischio vita. Per questo acquistano senso inquadrature bislacche, cieli e strada riprese di corsa, in fuga, perché evocano la drammaticità di quegli attimi.
Whitewash di Hemanuel Hoss.Desmarais. Bruce, un deluso dalla vita, uccide accidentalmente con il suo spazzaneve, durante una tempesta di neve, un tipo, che lui stesso aveva salvato dal suicido e, dopo averlo sepolto, fugge nella foresta innevata. Uno di quei film che trasmettono la materialità del dover resistere, quando sei braccato, hai fame, freddo e sei quasi completamente solo.
Men show movies & Woman their breasts di Isabell Suba. Girato durante il festival di Cannes 2012 dalla stessa regista, invitata a presentare in quella edizione un suo cortometraggio. Molto efficace nel mettere in scena le misere realtà che si nascondono dietro le luci della ribalta: dietro quei divi, quelle passerelle, quelle feste.
La bataille de Solférino di Justine Triet. 6 maggio 2012: ballottaggio delle elezioni presidenziali in Francia. Poche volte, nella mia esperienza cinematografica, un(a) regista è riuscito così bene a armonizzare un taglio documentaristico ad alta tensione anche spettacolare dentro una storia di conflitti nevrotici, che presentano molti punti di vista, chiusi e aperti.
Deludente Jarmush in Only Lovers Left Alive su cui ritorneremo quando uscirà nelle sale, mentre magnifico Inside Llewyn Davis di Ethan e Joel Coen, su cui scrive Maddalena Ferrari, uno di quei film che si ha desiderio di ri-vedere per il piacere di ripercorrerlo.