La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche

VitaDiAdeledi Nino Muzzi

Si potrebbe anche intitolare Ostriche e spaghetti il film del franco-tunisino Abdellatif Kechiche, che un tempo ci aveva annoiati cercando di deliziarci con Cou-cous e che oggi riceve la Palma d’oro a Cannes con il suo ultimo film La vita di Adele, cronaca di un amore lesbico fra la protagonista e l’amica Emma.

Le ostriche piacciono a Emma, ma non piacciono a Adele che si nutre proletariamente di spaghetti alla pomarola, impropriamente chiamati “alla bolognese” nel film.

Piatto intellettuale per eccellenza, le ostriche con il vino bianco, simboleggiano l’ambiente di Emma, artista, che presenta senza problemi la fidanzata Adele alla famiglia.

Piatto proletario per eccellenza, gli spaghetti, simboleggiano la famiglia di Adele, aspirante maestra giardiniera, che presenta alla famiglia Emma come un’amica che l’aiuta nello studio della Filosofia, dove lei non riesce gran che…

L’incontro fra Emma e Adele è costellato di differenze fondamentali, non solo nel cibo, ma anche nei gusti estetici e nelle letture filosofiche. Non importa, sembra dire il regista, c’è sempre il confronto dei corpi nudi sul letto che annulla le differenze di milieu.

Eh sì, diciamo di milieu, perché la Francia di oggi sublima spesso la differenza di classe in differenza di ambiente, una sublimazione che permette di edulcorare in apparenti abitudini egualitarie (le feste, le discoteche, l’abbigliamento, il linguaggio giovanile etcetera) spaventosi abissi sociali.

Ma il confronto dei corpi nudi, filmato dal regista in tempo reale, vale a dire con lo stile voyeuristico del film porno, ottunde invece la vista del pubblico, imbarazzato di trovarsi, appunto, in pubblico e non in solitudine onanistica per il cui fine vengono girati i film di erotismo spinto e trasgressivo. La noia prevale poi sull’imbarazzo già alla seconda scena d’intrecci corporei conditi di sospiri e mugolii sempre uguali.

La superficie dei corpi produce, purtroppo, una diffusa superficialità nel rapporto fra le due amiche/amanti e così, col tempo, riaffiorano le due culture diverse, tanto diverse che messe l’una accanto all’altra non producono una storia: le due protagoniste tenderebbero ad invecchiare in un eterno presente fatto dei soliti gesti erotici livellatori delle differenze culturali, dove alla sottile abilità di Emma fa fronte la freschezza giovanile di Adele.

Ma questa situazione tende a sgretolarsi per le molte crepe che vi s’insinuano: Adele è troppo modesta intellettualmente per Emma, che la incoraggia ad osare affrontare la scrittura e pubblicare racconti, a cui Adele risponde col classico pudore popolare: ma io scrivo il diario per me, non voglio far conoscere i miei sentimenti agli altri.

Crepe che si allargano quindi nel loro rapporto e che si evidenziano alla festa degli amici di Emma in giardino, dove Adele di fatto si limita a fare la cuoca, e che termina a letto col rifiuto di Emma di cedere ai desideri carnali di Adele, accampando la scusa delle mestruazioni.

Con astuzia celebrativa il regista ci aveva fatto intravvedere, nel corso della festa in giardino, uno schermo sullo sfondo dove appaiono immagini di un vecchio film in bianco e nero che da alcune scene possiamo identificare con il classico Lulù di Pabst, dove il volto di Louise Brooks richiama il destino di Adele: la ragazza popolare inserita nel milieu borghese.

Ma, a differenza di Lulù, Adele non scardina il mondo borghese, non distrugge il fragile perbenismo della classe dirigente. Adele non ha spessore sociale, e se mai di un perbenismo in questo film si tratta è proprio quello dell’ambiente sociale da cui lei stessa proviene.

Così Adele resta sola ed esce semplicemente di scena. Una solitudine di classe.


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