La pioggia battente e il grigio del cielo accompagnano la macchina, che arriva a Torino.
Torino, come sempre, è accogliente: coi suoi portici, la sua gentilezza, la presenza ininterrotta di librerie e banchetti, la Mole Antonelliana, la segreteria efficiente e cortese.
L’inizio: “The Savage” di Tamara Jenkins con due grandi interpreti, Laura Linney e Philip Seymour Hoffman, un film sulla vecchiaia e sulla morte, sulla fatica di vivere e di creare, che sa mescolare efficacemente commedia e dolore.
L’emozione (cinefila): i mediometraggi di Wim Wenders. Vedendo documentari come “Alabama”, “Appunti per un viaggio su moda e cinema”, “Tokio Ga” immagino di scrivere un lungo saggio che abbia come titoli-concetti questi:
in Wenders è la pura realtà che produce cinema;
Wenders è ossessionato dalla rappresentazione della rappresentazione ed anche dalla rappresentazione della rappresentazione della rappresentazione;
Wenders e la voce da un lato distante/vicina e oggettiva/dolente, dall’altro speculativa progressivamente;
Wenders e il fascino dello scenario metropolitano, diversamente da Herzog;
Wenders e la scelta dei titoli filosofici e dinamici, perentori e narrativi;
Wenders come poeta e sperimentore, anche là dove sbaglia il film.
Delusione sul pre-immaginario: “My Blueberry Nights” di Wong Kar-Wai, un regista, che ha nella capacità di sedurre con il fascino di una nostalgia, però controllata e rigorosa, ma che qui si lascia trascinare da una sceneggiatura troppo leggera per essere credibile e coinvolgente. Rimane la seduzione delle attrici (), delle luci notturne, fascino che scivola via, senza radici.
Grande sorpresa: “An Seh” (“Those Three”) di un regista iraniano al suo primo lungometraggio.In una rigida giornata d’inverno tresoldati abbandonano senza permesso il loro corso di addestramento. Incontreranno contrabbandieri, la nebbia, la neve, una donna, il gelo…Film davvero notevole, perché il realismo essenziale, nudo, disperato diventa naturalmente grande metafora, per la forza dello stesso realismo.
Una conferma: Alina Marazzi. “Vogliamo anche le rose” è un documentario che va oltre il documentario e, attraverso i diari e le storie di tre donne, diventa poetico e rivoltoso. Non un film sul passato lontano, ma un film sul passato presente.
Un grandissimo film ri-visto in una “magnifica” retrospettiva: “Faces” di John Cassavates, su cui interveniamo a parte.
Una promessa (italiana): Caterina Gueli con “Resistencia” Certamente anche un film di denuncia, ma in modo così implicito da non sembrarlo La regista si è messa nei panni dell’io narrante, che però proviene da un luogo così lontano da aver cancellato quasi ogni memoria, tanto da vedere la sua storia e forse se stesso come se fosse altro. Ecco che “Resistencia” diventa un corto sul Tempo e sulla Distanza (che il tempo produce), sulla Realtà (del tempo che fu) e sull’inutilità forse del tutto. Ne vien fuori un film poetico e insieme filosofico.
Gianni Quilici