“26° TorinoFilmFestival: da Polanski a Tony Manero” di Gianni Quilici

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Torino: hotel, portici, strade ampie e dritte, piazze grandiose e la Mole Antonelliana, che appare improvvisa e svettante; e nei pressi la segreteria del Festival come sempre disponibile e gentile con una ragazza che dà l’accredito, che sembra uscita da un film di Rohmer.

Prima (piccola) sorpresa: il catalogo del Festival è naturalmente funzionale ai film, ma presenta, contrariamente al passato, delle belle foto grandi a tutta pagina.

Seconda (piccola) sorpresa: l’organizzazione, appena può, fa entrare in sala per evitare forse quelle file lunghe e stancanti, consentendoci di leggere-scrivere in quei preziosi ritagli di tempo.

Dei film visti una veloce, rapida panoramica.

Inizio con tre pellicole di Stephen Dwoskin, di cui mi avevano colpito alcuni corti presentati nel 2007 a LuccaFilmFestival.

Nel primo Ascolta! una ragazza viene scrutata in primissimo piano per diversi minuti, mentre una , due lacrime scendono dal suo bel viso sulle note dell’aria “Signore, ascolta”, tratta dalla Turandot di Giacomo Puccini, fino allo scoppio di lacrime finale. Sette minuti che hanno il respiro di una poesia.

Interessante, invece, Mon un ritratto della madre del regista attraverso immagini di repertorio.

Però è The sun and the Moon la pellicola (è un mediometraggio) più impegnativa ed affascinante. “Il film” dice il regista stesso, è “quasi una personale interpretazione della Bella e la bestia. Il protagonista è l’autore stesso nudo con il corpo sproporzionato: pancia rigonfia e cosce minuscole, mani giovanili e sesso pendulo ed è il centro di un rapporto con due donne, una ragazza ed una donna. L’adolescente si mostra, si bacia ad uno specchio, lo tocca. Immagini che accostano il mostruoso con il sublime. Bellezza della ragazza assaporata fino all’autocompiacimento e della natura, la pioggia e gli alberi, che assumono una dimensione quasi antropomorfa. Immagini, a volte, stupefacenti, che diventano forse compiaciute dalla propria estenuazione visiva.

Significativo Katyn di Andrzej Wajda. Notevole ed ammirevole per la ricostruzione ambientale. E importantissimo come ricostruzione storica, perché Wajda riporta alla verità dei fatti un gravissimo eccidio accaduto nel 1940, quando l’Armata Rossa, su ordine di Stalin, fece assassinare 15mila prigionieri di guerra polacchi, seppellendoli nelle fosse comuni nei pressi della foresta di Katyn e incolpando di ciò i nazisti. Wajda ricostruisce i fatti con molta adesione partecipativa, delineando intense figure femminili. Il limite: l’impianto didattico, l’unilateralità di certi personaggi.

Di Polanski, avendo visto più volti i lungometraggi, mi concentro sui film su Polanski stesso e su qualche corto speciale.

Gli angeli, per esempio, è un formidabile video-clip, perché riesce a dare una dimensione di spazio (il Pianeta Terra), di Tempo (l’assenza di gravità), dentro una rappresentazione critica (la spazzatura dell’universo), ad una canzone e a una voce, quella di Vasco Rossi, che tendono, nelle intenzioni almeno, alla dilatazione nell’universo.

Chacun son cinéma” è uno spot di un’ironia acida, un ghigno sarcastico nei confronti della rispettabilità borghese, che nasconde i propri desideri frustrati chiedendo ordine.

E poi “Il Etait une fois…Tess”, film sul film, esattamente su Tess; e “Roman Polanski: Wanted and Desired”, ricostruzione sia della persecuzione giornalistica a cui il regista fu sottoposto, dopo aver subito un trauma spaventoso per l’orribile morte della moglie Sharon Tate, sia dell’accusa di aver avuto rapporti sessuali con una minorenne. Due filmati illuminanti sul talento registico di Polanski, sulle capacità di dirigere grandi masse, sulla sua umanità e gioia di vivere , sul suo rapporto con Sharon Tate e Nastassja Kinski.

Deludentissimo, almeno per i miei occhi, Dreams di Kim Ki-duk. La storia: il protagonista si sveglia dopo aver sognato un incidente stradale. Proprio in quel luogo assiste alle conseguenze di un reale incidente stradale, di cui è sospettata una ragazza. In realtà c’è una connessione tra loro: quando lui sogna, lei inconsciamente agisce nel sogno. Questo spunto di partenza Kim Ki-duk lo assume meccanicamente per tutto il film, lo rende realistico, esasperandolo sadicamente e masochisticamente, creando un’atmosfera maledetta fino alla chiusa liberatoria, che vuole essere poetica. Esempio di cinema Kitsh, che forse piace anche per quel tipo di identificazione estrema.

Straordinario invece il film vincitore del concorso Tony Manero del regista cileno Pablo Larrain, con uno straordinario protagonista, Raul Peralta.

Film notevole per la figura di Raul, il protagonista: povero e disperato, cinico e violento, chiuso e sgradevole egli si identifica totalmente in Tony Manero, il personaggio portato al successo da John Travolta, di cui ritualmente ogni giorno segue la visione del film, di cui prova fedelmente le battute e i movimenti, creandosi un mondo chiuso ad ogni altra dimensione. Ma il regista, che è altro da Raul-Tony, lo inserisce tramite una serie molteplice di dettagli nella ferocia della dittatura militare nel Cile di Pinochet. La grandezza del film è, infatti, nel creare questo intreccio molto implicito tra la ferocia dello Stato e quella di Raul, che con naturalezza non ha problemi ad uccidere, a strumentalizzare affetti e desideri. Ne viene fuori un quadro terribile, perché privo di umanità, di possibili alternative, se non la lucidità e la disperazione oggettiva che il film (il regista) rappresenta.

Interessante L’onda del regista tedesco Dennis Gansel, che si ispira ad una famosa “prova” realizzata da un professore californiano, che fece sperimentare ai suoi studenti il nazismo, finendo col creare un vero e proprio caso nazionale.

Il film è interessante da discutere soprattutto nelle scuole, tra i giovani, perchè sono comunque presenti i processi attraverso cui ragazzi, che si credono democratici, libertari, possano diventare invece nazisti: il leaderismo, l’identificazione nel gruppo e nei suoi imperativi, la ricerca del nemico. Peccato che il film non sfugga alla sua dimensione didattica sia per l’unilateralità dei personaggi che per l’impianto formale del film: ritmo veloce da video-clip con annessa musica rock-punk strepitante.


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