Mossi da una insana passione cinefila, abbiamo trascorso le nostre ferie in un viaggio sull’isola su cui il più grande tra i grandi cineasti europei esistenzialisti ha girato alcuni tra i suoi film migliori, ha finito poi per viverci, per morirci ed esserci seppellito nella nuda terra nel 2007 assieme all’ultima delle cinque mogli, Ingrid, che l’ha preceduto in questo di 12 anni.
Gli scenari naturali di quest’isola baltica, un’appendice a Nord della più grande isola di Gotland, una sorta di La Maddalena o piuttosto, di Caprera, rispetto alla nostra Sardegna, sono serviti a rendere ancora più grandi film immensi degli anni ’60, come “Persona” e i meno noti ma assolutamente da rivedere “L’ora del lupo”, “Passione”, “La vergogna” e, in precedenza, “Come in uno specchio”, quindi per fare da sfondo, negli anni ’70, ad alcune parti di “Scene di un matrimonio” e, last but not least, al bellissimo “L’infedele” della Ulmann (su sceneggiatura di Bergman), del 2000. Il nome di Fårö è intimamente legato a Bergman che, tuttavia, in vita, è riuscito a mantenere la sua privacy fino a corrompere i poco più di 500 abitanti dell’isola a non rivelare il luogo dove ha costruito la sua casa.
Già arrivare a Fårö, per un italiano, non è cosa facile. Volo per Stoccolma, trasferimento in bus o treno al porto di Nynashamn (un’ora e mezzo), traghettone per Visby, capoluogo del Gotland (4 ore), una cittadina medioevale molto carina che gli svedesi hanno eletto a meta turistica. Da Visby occorre affittare un auto per Fårösund (1 ora e mezzo), attraversando aree per lo più agricole, intravedendo qualche mucca, qualche lago paludoso ma anche qualche bella casa per le vacanze. Nel paese in cima all’isola una chiatta/traghetto continuamente fa la spola per superare lo stretto che separa Gotland dalla mitica meta. Si cominciano a vedere le capre che popolano anche l’immaginario bergmaniano e si giunge rapidamente alla località di Fårö (chiamarlo paese, come gli altri agglomerati di fattorie dell’isola, è decisamente un esagerazione). Nel cimitero dell’unica chiesa è ben indicata la sepoltura del grande regista, un sassone tipico dell’isola, abbellito da un semplice corridoio di pietra e da tre piantine alquanto vizze.
Qui inizia il bello; al tourist office alcuni opuscoli ricordano il rapporto tra Bergman e l’isola e indicano alcune location non particolarmente significative dei suoi film. Si viene subito avvertiti che la casa dove fu girato “Persona” non esiste più, nessuna notizia viene data della casa dove Bergman ha vissuto a lungo ed è morto. Trovare un alloggio a Fårö (come anche semplicemente un ristorante, per non dire un bar dove fare colazione), è un impresa disperata. Si finisce in un villaggio turistico fatto di baracche che ricordano dall’esterno quelle di Buchenwald, ma che all’interno si rivelano modeste dacie in stile russo.
Si comincia l’esplorazione dell’isola finendo prima nei posti non bergmaniani, quali il bellissimo faro, dove la scogliera si sarebbe senz’altro prestata a qualche shot. Qui ci prende un improvviso e violentissimo temporale che rende il luogo ancora più grigio e ancora più suggestivo. Attraversando altre aree un po’ turistiche, con qualche spiaggia selvaggia illuminata da un pallido sole e ciononostante amata dalle famiglie svedesi e dai loro bellissimi bambini, si giunge alla scogliera di Langhammars, dove ammiriamo i celebri raukar, brandelli di scogliera biancastra che l’erosione del mare e del vento ha trasformato in giganteschi mostri infernali (come si vede in “Come uno specchio”). Ma non è questa la scogliera dove ricordiamo le celebri carrellate parallele al mare con cui Bergman rinforza epicamente il gioco al massacro tra Bibi Andersson (l’infermietra) e Liv Ulmman (l’attrice mutacica Elizabeth Vogler) in “Persona”. La delusione è profonda, ma la fortuna è dalla nostra parte, perchè, prendendo una strada laterale, dopo aver superato un affascinante micro-villaggio di pescatori, si giunge alla scogliera giusta, che una strada parallela al mare segue per una decina di chilometri. Rientrando verso Fårö visitiamo, aprendo un cancello ed entrando in un allevamento di capre, il vecchio mulino che fu adibito a scenario per il maniacale archivio fotografico di Vergerius (Erland Josphson), in “Passione” (“The Passion of Anna”). Il bottino bergmaniano sembra alquanto modesto, ma siamo troppo stanchi per cercare ancora e, dopo aver miracolosamente trovato un ristorante, andiamo a dormire.
Al mattino, mentre pago (senza che neppure mi siano chiesti i documenti) l’affitto notturno della baracca , provo a chiedere informazioni al tenutario del villaggio, che incredibilmente me ne dà. Mi conferma (come avevo capito dall’opuscolo intervista venduto al centro turistico), che la casa di Bergman è nella località Hammar, ma mi dice che si vede solo il cancello; però nel vicino villaggio di Damba mi indica un’altra casa, anch’essa di proprietà di Bergman, dove il regista e Sven Nqvist visionavano e montavano i giornalieri. Avventurandoci tra i pini marittimi e le capanne coperte di fieno di quest’area bellissima, troviamo un sito meraviglioso, quello di Ryssnäss, dove un circolo di sassi ed un sassone su un’immensa spiaggia ghiaiosa e totalmente deserta indica la sepoltura di alcuni soldati inglesi. Attraversiamo il solito agglomerato di fattorie di Damba vedendo di sfuggita la bianca casa dove venivano montati i film e giungiamo ad Hammar, località-non luogo perchè in effetti non c’è proprio niente, salvo qualche sporadica casa per le vacanze. Addentrandoci per le strade sterrate nella pineta incontriamo il primo indizio interessante: un divieto di transito che, ovviamente, ignoriamo, infine un bel cancello dove vistosi cancelli indicano che l’area è sottoposta a controllo della sicurezza. Sentiamo ormai di essere giunti alla meta ed infatti, cento metri più avanti, giungiamo a due case bianche, chiuse, che fanno bella mostra in una foto presa da “La Repubblica” a corredo dell’articoletto col quale si annunciava che la casa di Bergman era in vendita all’asta, in quanto (per ora) il governo svedese ha ignorato la possibilità di acquisirla mentre i nove figli del regista evidentemente vogliono realizzare un po’ di quattrini dal celebre padre che li ha quasi completamente ignorati in vita. Tuttavia dall’opuscolo, e dal citato film della Ullmann, sappiamo che la casa non è questa doppia casa contadina bianca, è invece situata proprio sulla spiaggia, infrattata tra i piccoli e contorti pini marittimi. Senonchè la spiaggia, apparentemente, non è né visibile né raggiungibile. Non ci resta che fermarci, facendoci largo nel sottobosco della pineta, seguendo la recinzione di filo spinato che circonda la presunta proprietà Bergman, come indicano i cartelli della sicurezza, pronti ad essere fermati e magari anche perquisiti ed arrestati.
Invece dopo cinquanta metri il filo spinato è già stato preventivamente tagliato presumibilmente da qualche altro cinefilo curioso, cosicchè entriamo nella proprietà, giungiamo sulla bellissima spiaggia ghiaiosa e lo vediamo, proprio lui, il lungo chalet di legno un po’ consunto, vista mare, sia pure tra un pino e l’altro, sovrastato da un enorme parabola. Sempre col timore della security cominciamo a fotografare, quindi ci avviciniamo alla casa dove ampie finestre consentono di vedere l’interno, perchè le tende (appositamente?) sono tenute aperte. Vediamo così lo studio e l’ampia biblioteca con quattro file di scaffali, il famoso camino che Bergman fece costruire copiandolo da un film russo, nel quale si può anche sdraiarsi e godersi contemporaneamente la vista del fuoco e del mare. Una della serie di statuette di legno che fanno bella vista sul davanzale della cucina ritrae un omino che filma con una vecchia macchina da presa. Poco oltre su uno sgabello in bella vista, tra scarabocchi e conti, c’è anche la firma del regista. Nella camera da letto vediamo una sequenza di silhouettes in bianco e nero, forse lastre di qualche primitivo film d’animazione. Tutto quanto è in legno, tutto è molto sobrio, pochi oggetti e pochi mobili un po’ logori, palesemente si tratta dell’abitazione di un vecchio solo, defunto da un paio d’anni e mai più visitata. L’emozione è grande e le foto si sprecano, anche se i riflessi sui vetri finiscono per ritrarre piuttosto noi stessi degli interni; ormai siamo certi che la security non ha fatto altro che mettere cartelli, ci viene perfino l’istinto di trovare un pertugio e entrare dentro, ma non osiamo.
Stremati sostiamo sulla spiaggia antistante a goderci il nostro trofeo; la luce è bellissima, riflessi dorati illuminano il grigioverde Baltico, oggi completamente piatto: il nostro sguardo coincide con quello del Maestro, e questo ci basta.
Bellissimo, davvero!
e complimenti per l’idea, l’intento e la realizzazione! Marianna
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admin said,
Agosto 29, 2009 @ 14:12Bellissimo articolo tra passione-competenza cinefila ed inchiesta giornalistica.
Gianni Quilici