di Gianni Quilici
L’inizio della storia è questo: Lorna, graziosa e silenziosa immigrata albanese, che vive a Liegi, rincasa ogni sera da un giovane (Jéremie Rénier, l’attore-simbolo dei Dardenne) che tratta con durezza e che invece sembra avere bisogno di lei, delle sue cure e attenzioni. Quel giovane è un tossicomane, che cerca disperatamente di curarsi, ed è anche suo marito, sposato soltanto per avere la cittadinanza belga. Intanto un tassista italiano, sta per preparare un nuovo matrimonio con un russo, che otterrà da lei la cittadinanza belga in cambio di un bel gruzzolo di soldi. Naturalmente il “tossicomane” dovrà morire..
E’ un film sulla quotidianità, perché i Dardenne indugiano molto sui gesti rituali e meccanici del quotidiano cittadino: camminare, salire, scendere, dare e prendere soldi, scambiare due parole, guidare…
Però diventa imprevedibile. La vicenda ha svolte improvvise poco immaginabili e per niente scontate, che però hanno una logica, seguono un percorso profondo, che dà un senso universale alla vicenda, la proietta oltre i fatti narrati. Sono stacchi improvvisi, spesso senza rappresentazione, ne’ spiegazione, stacchi non solo narrativi, ma ideologici. Sono le scelte che Lorna matura e che realizza per istinto, che si trasmettono non attraverso le parole, la dialettica, ma il semplice agire. La ragazza, infatti, di fronte alla logica imperante del denaro, priva di qualsiasi compassione e confronto, sceglie la fedeltà ad un sentimento.
Un sentimento verso il giovane che non c’è più, che va al di là della razionalità, perché quello che lei immagina le rimanga di lui (un figlio?) è l’unico orizzonte che ha davanti. Il figlio diventa l’utopia per lottare fino all’ultimo respiro. Non importa se esso sia vero o puramente immaginario.
In questo film i Dardenne scelgono lo stesso materiale di, più o meno, sempre (emarginati, precari, disadattati), rappresentandolo con un linguaggio diverso. Non più camera a mano in movimento, non più estenuante (e geniale) oggettiva sulla protagonista (“Rosetta”). Si avvicina, come è stato notato da qualcuno, al cinema di Bresson (questo andare/venire, che accumula progressivamente tensione; o a quello di Kaurismaki (l’angelo non edulcorato in un mondo spietato) e a tutti e due per la sottrazione delle tragedie, per il lindore e l’asciuttezza della rappresentazione. Arta Dobroshi, un volto che s’impone.
Il matrimonio di Lorna (Le silence de Lorna)
Un film di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Con Jérémie Renier, Arta Dobroshi, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet, Morgan Marinne, Alban Ukaj.
Produzione Belgio, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania. Dur: 108′.