di Riccardo Dalle Luche e Lucia Lazzeri
Il celebre film, “L’inquilino del terzo piano” (“Le Locataire”, in francese ,”The Tenant” in inglese), diretto e interpretato da Roman Polanski, nasce dall’adattamento, effettuato con Gérard Brach, di un romanzo giovanile (”Le locataire chimérique”) di Roland Topor, più celebre come disegnatore, ma anche attore e regista di animazione lui stesso. Polanski1e Topor2 sono due ebrei polacchi naturalizzati francesi, come l’immigrato polacco (russo nel libro) a Parigi, Trelkovski, che è il protagonista del romanzo e del film, ed è quindi facilmente comprensibile che questa opera rifletta le loro esperienze giovanili di immigrati, un’idea rafforzata dal fatto che è lo stesso Polanski ad essere lo straordinario interprete di Trelkovski e il doppiatore di se stesso, con un accento inesorabilmente da straniero, nelle diverse lingue in cui il film è stato editato.
Il film è classicamente considerato, con “Repulsion” ( 1965) e “Rosemary’s baby” ( 1968) parte della “trilogia” degli anni ’60-’70 di film prevalentemente ambientati nello spazio chiuso di un appartamento e attraversati da forti problematiche psicopatologiche dei protagonisti (Balestrieri e coll)3,4.
La trama del film racconta di un giovane immigrato che prende in affitto un appartamento in uno stabile parigino già abitato da una precedente inquilina, Simone Choule, morta dopo essersi defenestrata per motivi imprecisati. In un crescendo perturbante, Trelkovski finisce per vivere persecutoriamente gli avvenimenti dello stabile, per identificarsi con Simone Choule, della quale segue il destino, defenestrandosi, con indosso i vestiti di lei, nel contesto di un delirio allucinatorio con elementi bizzarri e arcani. Si tratta, dunque, sul piano manifesto, come lo stesso Polanski sostiene nella sua autobiografia (Polanski, 1984), della storia di un uomo che, a causa della sua “schizofrenia galoppante”, si identifica con l’inquilina che lo ha preceduto finendo per suicidarsi. Il fascino di questo film starebbe quindi tutto nella straordinaria capacità del regista , ben evidente anche nelle altre opere citate della trilogia, ma che qui si avvale dei magici grandangolari deformanti di Sven Nykvist5, di ricreare l’atmosfera predelirante e poi del tutto delirante, alternata a momenti di lucidità, vissuta da Trelkovski, e farne partecipare empaticamente e catarticamente lo spettatore (Dalle Luche, 2010)6. Il film non ebbe alla sua uscita un particolare successo né di critica né di pubblico e lo stesso Polanski lo liquida come “un’esperienza interessante nonostante i suoi difetti”; la follia di Trelkovski sarebbe stata rappresentata in modo non progressivo, con dei salti troppo bruschi e inattesi, allucinazioni e variazioni di umore troppo improvvisi. Inoltre, dice ancora il regista, “perfino i cinefili avvertiti accettano male la mescolanza dei generi” (Polanski, 1984). “Se il film non è riuscito, sono l’unico responsabile. E’ un film della maturità, che curiosamente mi riporta agli inizi della mia carriera, dove l’emozione si mescolava allo humour, con un po’ di simbolismo. Non è una farsa. Spero che il pubblico ne colga lo humour e trovi il mio personaggio buffo, ma anche patetico. Spero che sia toccante, che la gente possa identificarsi con lui. Ho voluto fare un film sull’angoscia, non sulla paura. Trelkovski non sono io, completamente. Io non provo vertigine davanti all’angoscia degli altri: mi ribello in modo aggressivo, mentre lui lo fa in modo autodistruttivo. E’ un tipo che abita in un quartiere qualunque di Parigi: ho voluto che sia comune e un po’ rétro. Ma ho tolto tutti gli elementi spettacolari e bohémiens che avrebbero potuto riferirsi alla mia biografia” (Boutang, 1986).
E’ dunque tutto qua? Certamente molti aspetti sospesi, inconclusi, perturbanti, paradossali e bizzarri di questo film tra i più kafkiani della storia del cinema, oltre alla sua peculiare struttura circolare,7 sono stati e continuano ad essere oggetto di interrogazioni e interpretazioni a distanza di 37 anni dalla sua uscita. Come scrive l’autore (il cui nickname è yash) di un interessante contributo online (www.robsom.org/la fabbrica dei sogni), questo film “negli anni è stato passato al setaccio per tentare di trovare una spiegazione che possa dare un significato alla struttura, e soprattutto al finale. Sono state individuate tre o quattro probabili spiegazioni, dalla più razionale (che vede coinvolta la psiche dei due protagonisti), a quella paranormale (qualcosa vorranno pur dire i geroglifici egiziani e i denti trovati nel muro), passando per quelle più improbabili. La cosa più interessante è che nessuna di queste spiegazioni riesce a spiegare interamente il film, ma sempre e solo una parte di esso. Di solito riesce a spiegare qualcosa, ma è in contrasto con qualcos’altro. E le spiegazioni non possono coesistere, perché si annullano a vicenda. Di conseguenza è inutile trovare una spiegazione.”
E’ del resto ben assodato che, come per i tentativi di interpretazione dei sogni, addentrarsi nei possibili sottotesti di un film costituisce un percorso non obiettivo, incerto, aleatorio, frutto della sovrapposizione delle menti dell’autore dell’opera e dello spettatore che ne ha fruito, immedesimandovi e godendone (Dalle Luche e Barontini, 1997; Dalle Luche, 2010-1). Ma in questo caso la tentazione è fortissima per diversi motivi legati sia al romanzo di Topor che all’opera (e alla vita) di Polanski. Numerosi indizi ci spingono ad andare oltre la semplice narrazione di una storia di vita alla ricerca di messaggi e significati latenti che scrittore, sceneggiatore e regista potrebbero, consapevolmente o meno, aver lasciato. Cerchiamo quindi di ripercorrerli con un dettaglio ed una completezza maggiore di quanto non sia stato fatto finora.
Il primo indizio è il titolo del romanzo di Topor (“Le Locataire chimérique”) che evoca qualcosa di più della storia di un inquilino, e cioè la mostruosità della “chimera”, notoriamente la fusione di componenti di animali diversi in un unico essere8, qui, di Trelkovski e Choule, cioè, per estensione, di maschio e femmina, la loro ibridazione per il tramite di una comune abitazione,. Il secondo è che tra i numerosi elementi perturbanti del libro (amplificati nel film, come vedremo) ci sono numerosi indizi che hanno a che fare con i rituali e il culto dei morti, con la distruzione del corpo e la reincarnazione dell’anima. Il terzo è la struttura non solo simmetrica, ma addirittura circolare del film9 , in quanto l’ultima scena è la stessa di una delle prime, preceduta da un breve prologo: Simone Choule sul letto di ospedale, avvolta dalle bende di mummia, senza un dente e in grado solo di emettere un urlo angoscioso degno del celebre quadro di Munch di fronte agli attoniti “amici”, Stella e Trelkovski, quest’ultimo con un problematico sacchetto di arance, quasi visitasse un carcerato (il corpo-prigione dell’anima?)10. Ma la ripetizione della scena dopo il suicidio di Trelkovski è del tutto incongrua, salvo ammettere che Simone e un misterioso “doppio” di Trelkovski siano la stessa persona (nel libro è più chiaro che Trelkovski è nel letto, bendato come una mummia, per cui il “doppio” è piuttosto il Trelkovski che viene a visitarlo con Stella). Questa volta, diversamente dalla prima scena, la macchina da presa si infila direttamente nelle fauci nere e vuote della mummia, nel nero nulla, totalmente privo di spoglie di corpo e anima, e su questo nulla si conclude il film.
Che Polanski abbia voluto in qualche modo caricare di allusioni, se non di significati metafisici, la storia di Trelkovski, più surreale e meno teorica, nel libro di Topor, fa parte del suo stile. Polanski si intrattiene frequentemente nella sua opera antecedente e successiva all’inquilino, con varie tematiche esoteriche11. Inoltre è palese il suo amore per Kafka (di cui ha interpretato come attore “Le metamorfosi” ad un festival di Spoleto nel 1988) e la sua predilezione per le situazioni grottesche, surreali, appunto, kafkiane (ad esempio, oltre a numerosi suoi film, la sua mirabile interpretazione come attore nel film di Tornatore “Una pura formalità”).
Si può anche aggiungere, come ulteriore indizio di questa storia di im-migrazione e morte, che nel condominio, in un paio di occasioni, Trelkowki, salendo le scale, sente qualcuno che suona, nella mesta tonalità di Do minore, lo studio op.10 n.12 di Frédéric Chopin, un altro polacco naturalizzato francese che giace seppellito nel cimitero monumentale Père Lachaise a Parigi.
Seguendo dunque lo stesso impulso che anima Trelkovski nel tentativo di ricostruire l’identità e la vita di Simone Choule, cerchiamo dunque di capire che cosa ci potrebbe essere dietro questa bizzarra vicenda di sequenzialità e intreccio delle vite dei due personaggi, una femmina e un maschio. Fin dalla prima, spericolata, inquadratura, nella quale la macchina da presa penzola nel cortile interno dello stabile, quasi ad anticipare la caduta dei due personaggi, riflesse dietro al vetro del misterioso bagno del piano condominiale compaiono le immagini immobili di Simone e di Trelkovski, un leit motiv del film che comparirà successivamente in diverse variazioni. Come vedremo, questo loculo esterno agli appartamenti ed adibito a bagno del piano condominiale e ben visibile da una finestra dell’appartamento di Simone e di Trelkovski (glielo dice la portiera al momento dell’affitto: “Da qui può anche godere lo spettacolo!” ), è forse il vero nucleo dello stabile, nel quale molti condomini si ritrovano non solo a dover espletare i loro bisogni fisiologici, ma vengono osservati da Trelkovski in una innaturale immobilità, come pure immagini, o spiriti, o soggetti assorti in una misteriosa meditazione. Il bagno è dunque il centro metaforico di “evacuazione”, non solo delle scorie corporee, ma degli stessi inquilini del terzo piano, che, entrati da vivi nel palazzo, per un misterioso quanto ineluttabile meccanismo metafisico, che solo in apparenza assume le caratteristiche del delirio persecutorio con attori i padroni dell’appartamento e gli altri condomini, si ritrovano ad essere evacuati nel vuoto del cortile interno del palazzo e da qui, dopo la breve mummificazione in ospedale, nel nulla dell’aldilà? Un piccolo dettaglio all’inizio del film sembra indicarlo: Trelokowski porta enormi sacchi di rifiuti giù per la tromba delle scale, impacciato dal colloquio minaccioso del padrone di casa, ma nel tornare a raccogliere quelli che gli sono caduti, non li trova più, come fossero spariti nel nulla: poteri del misterioso condominio. “L’inquilino del terzo piano” è quindi non solo una storia di morte, sia corporea che psichica (distruzione dell’identità), ma anche di decomposizione, di degradazione: il primo attacco di panico di Trelkowski infatti avviene in chiesa, al funerale di Simone, mentre l’officiante evoca in modo iperbolico e colpevolizzante, senza risparmiare il minimo dettaglio materiale, la putrefazione dei corpi senza la redenzione cristiana:
“Polvere eri e polvere tornerai, le tue ossa rimarranno, vermi ti consumeranno gli occhi, entreranno nelle tue orecchie e si infileranno nelle tue narici. Il tuo corpo si putrefarà nei più reconditi recessi ed emanerà il più orrendo fetore. Cristo è risorto non per le creature come te vogliose di soddisfazioni carnali e piene di vizi. Come osi importunarmi, venire a prenderti gioco di me al mio sepolcro, quale audacia. Che fai qui nella mia chiesa? Il tuo posto è al cimitero, puzzerai come una carogna putrefatta abbandonata lungo una strada. In verità ti dico: non entrerai mai nel mio regno.” .
Inoltre “L’inquilino..” non è solo una storia di morti ripetute e senza redenzione, ma anche di “metempsicosi intersessuali”: a Simone, alla quale, come dice di lei l’amica Stella (Isabelle Adjani) (e che poi cercherà invano di fare di Trelkovski un vero uomo), “gli uomini non interessavano affatto”, succederà Trelkovski, timidissimo eterosessuale che lentamente, nel contesto dello sviluppo delirante, si travestirà da lei, indossandone l’abito lasciato in un armadio e truccandosi con la sua trousse, e vestito da donna si defenestrerà. Un uomo travestito reincarnerà dunque una donna verosimilmente omosessuale, in un ciclo apparentemente afinalistico e privo di una qualsiasi redenzione. Su questo vacuum interpretativo un acuto interprete online (Mymovies) costruisce la fantascientifica ipotesi che Simone si reincarni in Trelkowski per potersi congiungere con Stella, la donna di cui era innamorata. Ma dovremmo allora notare, che il tipico sarcasmo polanskiano fa fallire anche questa complicata operazione mostrandoci l’impotenza di Trelkowski.
Per proseguire il nostro percorso in questo misteriosa pellicola bisogna andare oltre, e spingersi perfino in una dimensione quasi esoterica.
La pista egizia
Gli elementi più evidenti al fine di una lettura in sottotesto del “Locataire chimérique”, sono i numerosi riferimenti al mondo egizio che Polanski (e Brach) aggiungono al romanzo di Topor, per il resto seguìto quasi alla lettera. Innanzitutto, come si è detto, la fasciatura identica che avvolge i corpi sbriciolati di Simone Choule e di Trelkovski nel letto di ospedale dopo i loro suicidi per defenestrazione: un bendaggio bianco che lascia visibili solo l’occhio destro e la bocca, aperta come una voragine senza fine, con un’arcata dentaria mutilata di un incisivo, dalla quale esce l’urlo terribile dell’angoscia esistenziale allo stato puro.
Oltre alla nota pratica della mummificazione, che poneva il defunto nella migliore condizione per rinascere13, gli egizi espletavano la cerimonia detta dell’animazione per far svolgere alla mummia le funzioni del defunto. La cerimonia comportava l’apertura degli occhi e della bocca con strumenti rituali, una piccola ascia (che casualmente in polacco si dice Topor) e un oggetto in oro o in pietra raffigurante due dita affiancate, per ripristinare i sensi (Curto,1991; www.anticoegitto.net).
Simone Choule aveva lasciato da un amico un libro che aveva letto, quasi come presagio della sua fine, il “Romanzo di una mummia” di Théophile Gautier, la storia di una donna che finisce seppellita nella tomba destinata ad un uomo12 (nel romanzo di Topor si tratta invece di un testo di Michel Zévaco, un autore tardo-ottocentesco di romanzi di cappa e spada, siamo cioè di fronte ad una aggiunta di Polanski/Brach). Come se non bastasse Trelkovski riceve la visita di un altro amico di Simone che, non sapendo della sua morte, le aveva inviato una cartolina dalla sezione egizia del Louvre raffigurante un sarcofago (anche questo dettaglio non c’è nel libro di Topor). Sarà, ovviamente, Trelkovski, a ricevere la cartolina che, forse non proprio casualmente, utilizzerà per spostare gli escrementi lasciati da una coinquilina, all’interno di una faida condominiale, sugli zerbini degli altri inquilini, anche sul proprio, per non apparire un privilegiato ai loro occhi, acuendo in questo modo la loro potenziale persecutorietà, da notare che anche qui il condominio si fa teatro di una vicenda escrementizia.
Il rapporto tra evacuazione, morte e ritualità funebre egizia trova la sua massima espressione nel già citato gabinetto condominiale, luogo di una grottesca fusione tra scatologico e escatologico. Qui Trelkovski, nel corso di un accesso febbrile, vede dalla sua finestra nientemeno che la mummia-Simone che si toglie le bende con un sorriso orribile (così scrive Topor; nel film il sorriso è perturbante ma anche sensuale); inseguendo quest’immagine Trelkowski accorre a tentoni nel bagno nel quale i comuni graffiti osceni delle pareti divengono segni ideografici e fonetici, geroglifici egizi con le classiche figure degli dei zoomorfi, piramidi, uccelli, pesci, occhio, croce ansata14 . Dalla finestra del bagno Trelkovski vede se stesso guardarsi dalla finestra del proprio appartamento, in una straziante visione del doppio (Döppelganger), considerata nelle leggende popolari, una premonizione di morte (Rank, 1914). In questa scena perturbante, interpretabile banalmente come un’esperienza allucinatoria, il gabinetto diviene con chiarezza la Camera dei Morti di una tomba faraonica.
Lo smembramento del corpo e la questione dell’anima
Spostando un armadio nell’appartamento, Trelkovski scopre un buco nel muro nel quale rinviene l’incisivo mancante a Simone sul letto di morte. Come scrive Topor, Trelkovski considera il buco una piccola camera funeraria dove Simone ogni tanto si raccoglieva e portava dei fiori. Si tratta dunque di una “microtomba” nel contesto dell’appartamento/tomba con il bagno/camera dei morti. Quando Trelkovski si sveglierà senza un incisivo, estirpatogli nottetempo dai suoi fantomatici persecutori, lo ritroverà naturalmente, con orrore, nello stesso buco15. Il buco-nascondiglio-tomba è quindi anch’esso un presagio di rituale di morte, del resto egizi, etruschi ed altri popoli antichi come gli Assiro-babilonesi e i Sumeri erano soliti farsi seppellirei con gli oggetti a loro appartenuti da vivi, evidentemente nella speranza della loro utilità al momento della rinascita.16 Ma il dente è una parte del corpo, e qui si giunge al quesito centrale che anima il ragionamento successivo di Trelkovski:
“il dente è una parte di noi stessi, come un pezzo di personalità: da qualche parte ho letto di un uomo che aveva perso un braccio in un incidente e voleva farlo seppellire; le autorità lo proibirono ed il braccio venne così cremato. Mi domando se gli avevano rifiutato le ceneri… Ti tagli un braccio e dico me e il mio braccio; mi togli anche l’altro braccio e dico me e le mie due braccia, mi togli lo stomaco, i reni, ammettendo che sia possibile e dico me e il mio intestino. Se tagli la mia testa dico me e la mia testa o me e il mio corpo? Che diritto ha la mia testa di chiamarsi me?”
Nel film questo ragionamento viene esposto da Trelkovski, ubriaco, con voce strascicata, nella scena in cui Stella lo spoglia per invogliarlo ad un improbabile, vitale, rapporto sessuale, che in effetti non viene mostrato (nel romanzo Trelkovski riesce, seppure con qualche difficoltà, ad eccitarsi e ad avere un rapporto sessuale pur dovendo abbandonarsi alle fantasie più varie e pensare a tutto meno che a Stella, che non lo attrae affatto – del resto se a Stella non interessavano gli uomini, perché a Trelkowski dovevano interessare le donne?)17.
L’interrogativo di Trelkovski è dunque quello sul rapporto tra la mente e il corpo, sulla localizzazione della mente (dell’anima): è essa nella testa oppure in ogni parte del corpo? Ha la testa (la mente) il diritto di “chiamarsi me”, cioè di essere la pars pro toto dell’individuo? Non è forse un diritto usurpato, un dominio a scapito dell’individuo stesso, che forse starebbe meglio senza autocoscienza, come pura corporeità? L’identità di un individuo non è forse anche nei suoi organi e non varia se essi vengono meno? E se uno venisse squartato membro a membro, organo a organo, quando potrebbe continuare a sentirsi ancora se stesso? Questa disunità costitutiva dell’individuo è più chiara nella lingua francese, che utilizza i due pronomi Je e Moi, dove il primo è l’Io puro grammaticale (maschile e femminile – indica cioè il soggetto “parlante”), mentre il secondo rinvia all’Io soggettivato, con le sue caratteristiche di personalità (indica cioè propriamente, “me stesso”). Quando, dunque, in un processo di trasformazione fisica, il je può ancora dirsi coincidente col moi?
Ma non è solo l’identità dell’Io qui in questione, è anche quella sessuale. Il fatto che nel film Trelkovski non abbia un rapporto sessuale con Stella fa anche pensare che la sua identità maschile si stia già smarrendo e trasformandosi in un’identità femminile; la perdita del dente sarebbe forse un presagio della perdita di altre appendici e più in generale di un angoscia di castrazione assommata ad un’angoscia di morte?
L’atto del travestirsi è però per Trelkowski, un atto volontario; addirittura esce di casa per comprarsi le protesi che gli sono necessarie, una bella parrucca bionda ed un paio di scarpe coi tacchi, quindi si compiace allo specchio della sua mîse e del suo parlottare da femmina come un vero travestito; come in altre situazioni il godimento perverso sembra anche qui rallentare se non arrestare il processo disgregativo e nientificante l’identità, fermandolo ad uno stadio di trasformazione (Dalle Luche e Barontini, 1997). Tuttavia qui non basta, perché Trelkowski, anche in versione femminile dovrà subire l’inesorabile morsa della persecuzione che lo porterà alla morte.
Ma l’identità di Trelkowski non solo si sbriciola, ma anche si raddoppia e perfino moltiplica. Tutto il film in ultima analisi è la storia di un “doppio”, nei diversi sensi descritti da Otto Rank (1914): doppio come “immagine allucinatoria”, come nel già ricordato episodio di autoscopia del bagno condominiale; doppio come riflesso, nelle numerose sequenze in cui lo specchio dell’armadio riflette la sua immagine, ed in particolare quando Trelkowski vi si specchia compiaciuto travestito da Simone; doppio come ombra, nella fattispecie come controparte femminile, come “Simone”, sua ombra anche in quanto morta, e come presenza immateriale nell’appartamento e nel condominio; infine doppio come sosia, persona in carne ed ossa del tutto simile al prototipo, nella scena finale in cui un Trelkowski si trova a visitare il Trelkowski coperto di bende nel letto dopo il doppio tentativo di suicidio.
La libertà dell’uomo di fronte all’angoscia del nulla
Trelkovski sta dunque angosciosamente decomponendosi, moltiplicandosi e nello stesso tempo sbriciolandosi; il suo corpo si sta trasformando, sotto l’imposizione non contrastabile del delirio persecutorio, sia pure arginato dai suoi diversi tentativi difensivi, tra cui il godimento perverso; la sua libera soggettività si sta dissolvendo nel soggetto assoggettato al delirio stesso. Adesso l’unica possibilità per mantenere un grado di libertà, è, fuggire dall’appartamento, cosa che Trelkowski fa, inutilmente, in quanto i coinquilini ormai ricompaiono un po’ ovunque, col solito fare minaccioso e squalificante, anche alla porta dell’appartamento di Stella, fino ad allora sua protettrice, ora temibile complice dei suoi persecutori. Non resta, dunque, per affermare se stessi e la propria libertà, che suicidarsi, cioè compiere il destino previsto dal delirio, ma farlo a modo proprio; infatti Trelkovski, che deve gettarsi due volte dalla finestra prima di “diventare mummia” in ospedale, perché la prima volta si rompe solo una gamba, fin all’ultimo respiro tenta di far valere la propria individualità rispetto alle visioni allucinatorie dei terribili coinquilini, smascherandoli pubblicamente, come un impiccato che rifiuti il cappuccio prima di offrire la testa al boia: “Le proibisco di toccarmi, non sono Simone Choule, Assassini! Assassini! (Banda) d’assassini! Vi farò vedere (un po’ di sangue)! Volevate una morte pulita, vero? Sarà una morte sporca, indimenticabile. Meglio l’altra volta? Beh, non sono Simone Choule: io sono Trelkovski, Trelkovski!”.
Trelkovski lotta quindi fino in fondo contro un inesorabile destino mortale, comune a chi lo ha preceduto nello stabile, e analogamente imposto dagli “altri”, ma nello stesso tempo non può che assecondarlo: in questo “L’inquilino..” non è che una metafora della condizione umana, che né la ritualità cattolica né quella egizia, entrambe parti integranti del vissuto allucinatorio-delirante di Trelkovski, cioè scisse e non più integrabili con la sua identità cosciente, riescono a riscattare.
Tutto si tiene
Il senso più profondo di questo film peraltro si salda e rinforza quello più ovvio, cioè che Trelkovski è in effetti uno schizofenico paranoide. Questa condizione, come tutte le condizioni psicotiche, si caratterizzano per un processo di de-soggettivazione più o meno lenta e progressiva, nella quale l’individuo si scinde e viene sempre più spossessato del proprio “moi”, fino a divenire mero strumento in mano agli altri e al mondo in genere. Si è già detto altrove (Dalle Luche, 2010) della straordinaria abilità di Polanski nel far rivivere allo spettatore, in soggettiva, gli aspetti formali della trasformazione psicotica. Ciò che per metafora è, come abbiamo detto, condizione umana, alla lettera è l’effetto di un processo patologico: in tutto il film questi due aspetti si compenetrano come in un gioco di scatole cinesi, dove l’uno e l’altro sono alternativamente il contenente e il contenuto. Ciò che unifica le due condizioni è l’angoscia esistenziale o forse, ancora più forte, l’”orrore” che è l’ultima parola di un altro grande personaggio psicotico degli schermi, il colonnello Kurz di “Apocalypse now” (Coppola ).
Le loro immagini, forse i loro ka, in senso egizio13, continueranno ad abitare in eterno nello stabile: infatti, in un rapidissimo dettaglio durante i movimenti della “louma”18 nel corso dei titoli di testa, Polanski ci mostra le immagini di Simone e Trelkowski, rispecchiate sulla finestra, naturalmente, del bagno condominiale. I loro spiriti erano quindi già lì, prim’ancora che Trelkowski entrasse nello stabile per visionare l’appartamento, e forse saranno ancora lì quando vi entrerà il “terzo” inquilino del piano. Sarà egli una donna o un uomo?
Note:
1 Roman Polanski (pseudonimo di Raymond, Roman Liebling ) è un regista, sceneggiatore, attore e regista teatrale considerato tra i massimi cineasti viventi e conosciuto dal grande pubblico per le sue opere quanto per la sua vita privata, ricca di episodi drammatici, e da lui stesso raccontata in un libro (Polanski,1984 ) e, più recentemente, in un film documentario (A film memoir). E’ nato a Parigi il 18 Agosto 1933 da genitori di origini ebree polacche, ed in Polonia, sfuggendo miracolosamente alla persecuzione nazista nell’infanzia, ha ricevuto la sua formazione cinematografica. Nella sua ampia filmografia, che nasce con cortometraggi nutriti del teatro dell’assurdo, ha affrontato generi disparati, alternandoli con opere di profondo spessore psicologico e psicopatologico nelle quali è andato ad esplorare gli abissi più neri dell’animo umano. . Premiato ed invitato a presiedere nella giuria in prestigiosi concorsi internazionali ha vinto l’Oscar come miglior regista nel 2003 con “Il Pianista”, il Golden Globe per la regia con “Chinatown” nel ’75 e per il miglior film straniero con “Tess” nel 1981 infine la Palma d’oro al Festival di Cannes con “il Pianista” nel 2002. Vive attualmente in Svizzera con la moglie Emmanuelle Seigner, già protagonista ? , da cui ha avuto due figli, Morgane e Elvis.
2Roland Topor, riconosciuto da tutti come provocatorio e surreale illustratore, disegnatore, pittore, scrittore, poeta, regista, cantante, attore e cineasta francese è nato a Parigi nel 1938. Negli anni ‘60 ha creato con Arrabal e Jodorowski il gruppo neosurrealista “Panique”. A 25 anni ha pubblicato “L’Inquilino Chimerico”. Si è poi affermato come illustratore editoriale e grafico. Ha realizzato due film di animazione, “Il pianeta selvaggio” con René Leloux e “Marquis”, con H. Xhonneaux . Ha lavorato anche come attore nel cinema italiano e in “Nosferatu” di Werner Herzog. E’ morto a Parigi, nel 1997.
3 Géard Brach è uno sceneggiatore e regista francese è nato il 23 Luglio 1927 a Montrouge e morto il 9 Settembre 2006 a Parigi. Dal suo sodalizio con Polanski sono nati dieci film tra i quali, “Le più belle truffe del mondo” (1963), “Repulsion”(1965), “Cul-de-sac” (1966), “Per favore non mordermi sul collo” (1967), “Che?”(1972), “l’Inquilino del Terzo Piano”(1976), “Tess” (1979), “Pirati” (1986), “Frantic” (1988), “Luna di Fiele”(1992). Può anche darsi che Gerard Brach, affetto da una grave forma di agorafobia, abbia per questo potuto dare una forte impronta a questi film, tutti giocati in spazi chiusi.
4 In realtà molto altro cinema Polanski mette in scena i comportamenti umani in spazi ristretti, come la barca a vela ne “ Il coltello nell’acqua” (1962), il maniero di “Cul de sac” (1966) , la villa a picco sul mare di “Che?” (1972), l’appartamento parigino prima e la nave da crociera dopo di “Luna di fiele” (1966 ) , di nuovo un appartamento nel recente “Carnage” (2011).
5Si tratta del fondamentale collaboratore dei celebri film di Ingmar Bergman degli anni ’50 e ’60.
6”La macchina da presa segue gli iniziali vissuti di autoriferimento all’esterno dell’appartamento e il progressivo straniamento del protagonista negli interni semioscuri nei quali lo specchio dell’armadio sottolinea la sua progressiva alterazione di identità; il carattere perturbante e oniroide di alcune percezioni deliranti è realizzato mediante l’immobilità innaturale dei soggetti ripresi in soggettiva come dagli occhi del protagonista (…) Vi è in tutto il film un utilizzo della suspence che diviene stupefacente sorpresa per l’estrema creatività della rappresentazione del delirio.’’Inquilino del terzo piano’ conclude la trilogia paranoide di Polanski, nella quale il regista insegna come possano essere rappresentati in un film di finzione gli sviluppi deliranti a partire da situazioni di apparente, assoluta normalità.” (Dalle Luche, 2010 pp. 91-2)
7 Polanski, in un’intervista del 1993 (Scandola, 1994) ha affermato: “La circolarità è una forma di eleganza che mi ha sempre sedotto nel cinema. Mi piacciono le opere dove c’è un inizio, uno sviluppo e un finale in cui si ritorna al punto di partenza. Vedete che anche nelle opere musicali c’è questo tipo di struttura. La costruzione dell’opera è importante per me, mi sembra che si debba sempre finire su di una nota tenuta”. 8La chimera (letteralmente “capra”) è un mostro mitologico con parti del corpo di animali diversi.. Le descrizioni sono varie: secondo alcuni poteva sputare fuoco, aveva testa di leone, una testa di capra sulla schiena e la coda di serpente; secondo altri aveva corpo di capra, coda di serpente o di drago e testa di leone, come ci riporta l’Iliade di Omero VI 180-184. Si dice che sputasse fuoco dalle fauci e il morso della sua coda fosse velenoso. Fu uccisa da Bellerofonte, in sella a Pegaso, riuscendo a far colare il piombo della sua lancia nella gola della Chimera, metallo che, fuso, soffocò il mostro. www.etr.it/castelli/novelle/chimera;www.wikipedia.org. 9 Una struttura assolutamente simmetrica sarà di nuovo riproposta da Polanski nel film “Bitter Moon (Luna di fiele)”, tratto dal romanzo di Pascal Bruckner ed anch’esso centrato sulla relazione intima e simbiotica di un personaggio maschile e femminile (Dalle Luche 1996); anche in “Che?” (1972), solo in apparenza la parodia dei film erotici anni ’70, è evidente una temporalità narrativa non lineare, ripetitiva, ossessiva, enscheriana. 10 A parte la diversa durata delle scene (la scena ripetuta è molto più breve) c’è una differenza nella “raccolta” delle arance: nella prima cadono sotto il letto, vengono rimesse nel sacchetto di carta, a parte l’ultima, inquadrata fuori del sacchetto; nell’ultima vengono riacchiappate al volo alla bene e meglio e riappoggiate in qualche modo sul comodino di Simone. 11Basti qui per il momento ricordare i temi satanistici di “Rosemary’s baby”, drammaticamente connessi con l’uccisione della moglie di Polanski, Sharon Tate, incinta all’ottavo mese di gravidanza, da parte degli adepti della setta di Charles Manson. Numerose sette hanno rivendicato simboli e messaggi subliminali che sarebbero presenti nel film, soprattutto quando si parla di LORO, cioè degli appartenenti ad una sedicente setta demoniaca di stampo ebraico che assistono e promuovono la fecondazione di un demone nel ventre di una donna ariana, come replica di un’iniziale ibridizzazione da cui sarebbe nato il Cristo, l’arabo biondo. La porta del film starebbe per l’inconscio che ci separa dai demoni interiori. Il film, del 1968 (il bimbo di Rosemary’s deve nascere a giugno del 1966) anticipa di tre anni la morte di Sharon, avvenuta l’8/8/1969. C’è quindi chi (www.maestrodietrologia.blog.spot.com) ha ipotizzato la vendita dell’anima al diavolo di un regista ebreo, pagata con il sangue della moglie e del figlio. Un peccato pagato in vita da Polanski dai numerosi guai di vario tipo che hanno costellato la sua vita (la morte della madre nel ghetto, la sua vita errabonda fin dall’infanzia, la morte per incidente di Komeda, il geniale musicista dei suoi primi film, i noti guai giudiziari per violenza ad una minorenne con l’esilio perenne dagli USA –quest’ultimo fatto ha forse pesato sulla carriera di Polanski, ma forse ha preservato la sua identità autoriale europea. ”. Sempre negli ultimi anni ’60 Polanski ha girato una parodia del cinema dei Vampiri in “Per favore non mordermi sul collo (1967)”. Anche in tempi più recenti Polanski non ha esitato a riprendere i temi esoterici nei suoi film, ad esempio con il viaggio nel mondo dei collezionisti di opere sataniste in “La Nona porta”, lasciando soltanto immaginare (come in “Rosemary’s Baby”) quel regno soprannaturale o delle tenebre a cui non crede. Dal libro di Perez-Reverte (1993) che segue due piste parallele di un capitolo inedito dei tre Moschettieri di Dumas e quella di un misterioso Delomelanicon (Libro delle Ombre) scampato alla censura della Chiesa nel diciassettesimo secolo, il film segue solo la seconda delle due piste modificando il finale ed elidendo il personaggio di Varo Borja che prenderà il volto di Boris Balkan. La fine significherà per Corso (Johnny Depp) varcare la soglia della Nona porta. La figura dello scrittore (Corso) che diventa detective vulnerabile e sbadato ricorda quella dei protagonisti di “Chinatown” e “Frantic”. Il disegno dello Scudo di David sul dorso della copertina del libro del film è dello stesso Polanski. La passione per i messaggi cifrati ritorna anche nel più recente “L’uomo nell’ombra (The ghost writer)”, in quanto fornisce al protagonista, poco prima di essere ucciso, la chiave della vicenda su cui indaga. 12La storia del romanzo tardo-ottocentesco narra del ritrovamento di tre studiosi di una mummia miracolosamente conservata di una ragazza molto giovane: essa appartiene a Tahoser, la figlia del grande sacerdote Petamonouph morto lasciandola ricca e potente. Nonostante che il faraone Ramses si fosse invaghito di lei, essa si era innamorata del giovane schiavo israelita Poeri che però amava Rachele, un’ebrea. La decisione di Mosé, interpellato, è che Tahoser divida l’amato con l’ebrea e rinneghi gli Dèi d’Egitto a profitto di Jehovah. Tahoser accetta. Il faraone avvertito da una vecchia serva fa rapire Tahoser e la porta come promessa sposa nel suo palazzo. Da lì si originarono le sette piaghe d’Egitto e la fuga degli ebrei mentre il faraone verrà inghiottito dal Mar Rosso, Tahoser morirà giovane e sola e sarà inumata nella magnifica tomba prevista per Ramses. 13Il procedimento detto dell’imbalsamazione o mummificazione avveniva praticando un taglio nel ventre da dove si estraevano le viscere e si riponevano in resina e bitume, detto in arabo persiano “momi” da cui “mummia” ; il corpo giaceva immerso nel salnitro onde evitarne la putrefazione; gli venivano iniettati oli vegetali per ammorbidire i tessuti e scongiurarne la lacerazione; dopodiché il defunto era bendato con fasce di lino trattate con allume per rendere il corpo ancora più al riparo dall’aria e dai germi patogeni in essa contenuti. Quattro vasi detti canòpi (dal dio greco-egizio Canòpo configurato in un vaso a testa umana contenente l’acqua del Nilo) contenevano i visceri. Altre suppellettili, poste in disordine tutt’intorno provenivano dalla casa e modellini tridimensionali dell’abitazione o delle attività intraprese in vita. Una o più statue del defunto erano poste in una stanza, in origine con il compito di accompagnare la salma, in seguito come immagini della componente dell’uomo chiamata ka. E’ questo l’aspetto stesso del sepolto e la sua forza vitale, aspetto che i viventi avevano sott’occhio sotto forma statuaria o in rilievo quando si recavano nella tomba per offrire cibo ma che intuivano fosse un qualcosa di più durevole del corpo, come si apprende dal “Dialogo di un suicida con la sua anima” (Papiro di Berlino 3024) dove un uomo dibatte col suo ka, ossia con un vero e proprio altro io, rappresentato con un’immagine identica a quella del vivente in carne ed ossa, e il ba, rappresentato come uccello a testa piumata. [Questi credi, creati prima del processo religioso che legava l’eternità dell’uomo a quella del dio sono da considerarsi atei ](Curto, 1981). 14Simbolo egizio di origini antichissime e conosciuta anche come Chiave della vita, la croce ansata (ankh) è uno dei rappresentati: formata da una croce a forma di tau e da un cerchio, la si vedeva nelle mani degli dèi, dei faraoni, poteva essere effigiata come cornice ornamentale, nei rilievi del tempio, nei sarcofagi, lungo le bende delle mummie, con il significato di vita, sia vita ricevuta (dagli dèi) che potere di dare vita (al popolo). L’ankh veniva utilizzato in particolare come amuleto, capace di infondere salute, benessere e fortuna. Spesso alla morte di una persona, che venisse mummificata o meno, l’ankh era un elemento fondamentale, con il quale il corpo doveva essere sepolto. Tra le varie interpretazioni dell’ankh, alcuni studiosi vi hanno visto l’unione femminile (ansa)/maschile (asta), quanto di più pertinente alla vicenda de “L’inquilino..”. Ma il significato più importante rimane quello legato all’aldilà, alla vita eterna; in moltissime rappresentazioni si osserva Iside che pone l’ankh sotto le narici del defunto nobile a simboleggiare il respiro della vita eterna o, ridonandogli la parola perduta. Sta inoltre ad indicare la reincarnazione, quindi la vita dopo la morte e l’incontro del mondo spirituale delle forze divine con il mondo fisico dell’umanità. 15Un buco nel muro è uno dei mezzi con cui viene realizzato il voyeurismo in “Che?” ( ), che, dopo “L’inquilino..”, può essere considerato nel suo insieme una riflessione cinematografica teorica sul voyeurismo, sull’istinto di guardare che è acuito da ciò che vela l’oggetto del desiderio dello sguardo, piuttosto che dalla piena nudità visibile sullo schermo. 16 “La tomba è anche il luogo sacro da cui emana una nuova vita. La tomba è il grembo della dea (….). Le tombe scavate nella roccia di Malta sono a forma d’uovo (…). Molte avevano forma antropomorfa, raffigurando la figura intera della dea….Erano decorate con simboli rigenerativi, erano l’utero della dea.” (Gimbutas, 2005).
17Inoltre, di notte, sia nel libro che nel film, Trelkovski si sveglia e vomita, ma nel libro si masturba, anche prima di lasciare l’appartamento di Stella con un bacio fraterno. 18 La louma, innovativa gru leggera e modulare degli anni ’70 a braccio telescopico silenzioso sulla cui cima è fissata una cinepresa controllata a distanza da leve maneggiate da un operatore da terra è stata utilizzata da Polanski in questo film ed è la responsabile del lungo piano sequenza iniziale che termina quando Trelkovski entra nell’alloggio della portinaia. Ideata da due operatori militari J.M. Lavalou e A. Masseron (da cui il nome) i quali furono premiati nel 2004 con l’Oscar per la Tecnica ha numerosi pregi; oltre ad assicurare grande stabilità grazie alla corrispondenza del centro di gravità con l’asse di rotazione verticale, e versatilità, grazie al dispositivo Smartpan, tramite un aggiustamento delle ampie inquadrature, permette grande fluidità di movimento. It.wikipedia.org; www.cameravideo.ne
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