Il merito di questo film è innanzitutto (e forse soprattutto) culturale: per un verso perché Haifaa Al-Mansour è la prima regista dell’Arabia Saudita e con i suoi 3 cortometraggi, ma soprattutto con il (relativo) successo che La bicicletta verde sta ottenendo all’estero, ha favorito e forse favorirà un’ondata nuova di registi sauditi; per un altro verso il film rappresenta e fa conoscere la terribile condizione femminile in un paese economicamente ricchissimo, dove vengono calpestati i più elementari diritti sociali, soprattutto verso la donna: la netta separazione, anche visiva fin dall’infanzia, dai maschi; i matrimoni combinati già all’età di 12-13 anni; la possibilità di essere lasciate dal marito, senza potersi rifare una nuova vita; l’obbligo del velo; una scuola indegna di questo nome.
L’altro merito del film, è forse anche il suo limite: aver creato una ragazzina dodicenne, Wadjda ( è anche il titolo originale della pellicola), che può suscitare una partecipazione non identificativa, ma divertita del pubblico. Wadjda esprime, infatti, una istintiva rivolta contro la ripetitività asfissiante e orribilmente punitiva della scuola ed insieme una furbizia calcolatrice per gli obbiettivi che si pone. Questa naturale rivolta è alimentata da modelli, per così dire, occidentali: la musica e il look, i videogiochi, di cui può disporre all’interno dell’abitazione. La bicicletta, invece, che alle donne viene negata, non può averla.
Il ritratto di Wadjda risulta, quindi, convincente: non accetta quel mondo chiuso fatto di obblighi insensati (il velo per esempio); è inventiva e tenace, ma anche ha un simpatico tratto mercantile; soffre per la madre lasciata, perché non può più dare il maschio che la società richiede e per il padre affettuoso, ma distante, perché subisce le leggi maschili che i Sauditi impongono.
Tuttavia il suo personaggio non contiene ciò che si potrebbe chiamare “alterità”. Il suo rapporto con le compagne di scuola o con il suo amichetto è infantile, non va oltre il gioco o il banale commercio. Ciò che vuole riesce ad ottenerlo e l’ultima immagine è ferma sulla sua felicità, anche se è la mamma che ne paga (sottilmente) il prezzo.
Un film fluido e sincero, che colpisce e diverte, senza “toccarci” profondamente.
Deprecabile il doppiaggio.
di Haifaa Al-Mansour
con Reem Abdullah, Waad Mohammed, Abdullrahman Algohani, Ahd Kame, Sultan Al Assaf.
Arabia Saudita, Germania 2012.
Durata: 100 minuti.