di Riccardo Dalle Luche
Non ci sono disturbi mentali, ma tutta la sofferenza depressiva dell’occidente nel cinema ironico e sarcastico di Denys Arcand: i suoi personaggi, per lo più intellettuali ed esponenti della middle-class, sono interpreti e vittime di un degrado relazionale e etico estremo del nostro tempo, di cui il ricco, iperdemocratico, tollerante e tecnologicamente avanzato Quebec è l’icona. Cinema di situazioni, e soprattutto “di conversazione”, grazie a sceneggiature e dialoghi accuratissimi, quello di Arcand è forse oggi il miglior cinema di critica sociale dell’occidente avanzato, capace di analizzare in modo tagliente e radicale le angosce di una società priva di fari ideali, religiosi, etici e quindi deliberatamente vittima delle crude angosce trascinate dall’ateismo e dal materialismo: il sesso, la morte, la povertà, il salutismo estremo.
L’amara riflessione sociologica di Arcand esplode internazionalmente con “Il Declino dell’Impero Americano” (1986) nel quale vengono descritte in modo esilarante angosce e fantasie private di un gruppo di intellettuali disillusi e demotivati. In Jesus of Montreal (1988), ambiziosa e ingiustamente misconosciuta riflessione sul senso del Cattolicesimo oggi, Arcand affina il suo stile teso tra il serio e il satirico, tra il tragico e l’idealizzante, mentre nel meno riuscito “La natura ambigua dell’amore” si sofferma sul caos in cui decade la vita sessuale vittima dell’instabilità relazionale e della confusione dei generi. Dopo una satira del mondo televisivo (Stardom, 1999), Arcand realizza con “Le invasioni barbariche” (2003) il sequel non dichiarato de “Il declino dell’Impero americano” analizzando, come in una sorta di follow up ventennale, il percorso e gli esiti della vita degli intellettuali di quel film.
E’ forse il successo di quest’opera a consentirgli e stimolarlo ad andare ancora avatni, realizzando una sorta di estrema conclusione di questa trilogia sociologico-apocalittica con “L’età barbarica” (L’age des tenebres) (2007).
Il protagonista, Jean Marc Leblanc, è un impiegato dei servizi sociali governativi; per raggiungere la sede di lavoro deve accollarsi, come molti di noi, un ora dello spaventoso traffico a tre corsie della periferia di Montreal, quindi una mezz’oretta di affollatissima metropolitana; il suo lavoro si svolge in uffici collocati nell’atmosfera surreale di un enorme stadio coperto, i suoi clienti sono personaggi in condizioni fisiche, sociali, relazionali disastrose, per i quali Jean Marc non può altro che dare risposte burocratiche e prive di ogni concretezza. L’ambiente di lavoro è completamente non confortevole, per le ossessioni del divieto di fumo, i controlli reciproci dei funzionari, le rigide e ipocrite applicazioni politically correct delle pari opportunità. Il clima familiare non è meno glaciale e persecutorio, con una moglie logorroica e disforica, completamente dedita alla sua carriera di agente immobiliare e due figlie chiuse ad ogni autentica comunicazione con lui e completamente alienate nei ruoli adolescenziali imposti socialmente; non si mangia neppure, nella famiglia Leblanc, se non “quattro salti in padella” riscaldati. Il terzo scenario apocalittico è costituito dall’agonia della madre in una casa di riposo, nella totale indifferenza e solitudine.
Per un po’ il protagonista, con un passato di impegno idealista e intellettuale, si ripiega totalmente su fantasie narcisistiche, erotiche e di successo, infantili e un po’ sadiche, ossessive ed iterative, comunque divertenti per lo spettatore. Poi sbrocca: la madre muore, lui abbandona il posto di lavoro, non più consolato dall’occuparsi di “persone più sfigate di lui”, infine provoca un incidente e lascia la macchina, quindi, col solo vestito addosso, la famiglia: la moglie lo insegue per strada senza capire che cosa sia successo. Si rifugia in un cottage sul mare, circondato da persone umili e semplici dedite alla vita di campagna; non si sa se vi si adatterà e vi troverà qualche soluzione esistenziale L’ultimo ideale è la scelta di arrendersi di fronte all’orrore per il degrado umano e relazionale della vita di oggi verso il quale si percepisce solo e unicamente impotente. Non solo non ci sono più situazioni reali, ma neppure immaginarie in grado di togliere l’individuo dalla percezione del fallimento; così Jean Marc liquida anche le sue fantasie, le cui protagoniste femminile rappresentano, col loro femminile, troppo femminile disappunto, l’ultimo elemento persecutorio. Resta il silenzio e il caldo vuoto della solitudine dalle quali potrebbe germinare qualche forma d’arte: delle banali mele, infatti, diventano, con un effetto digitale, le mele di Cezanne.
L’età barbarica (L’age des tenebres), di Denys Arcand con Marc Labréche, Diane Kruger, Sylvie Léonard, Caroline Néron.
Canada 2007. Durata 100′.