“Un fotogramma: ‘Shining’ di Stanley Kubrick” di Daniela Catelli

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Isolare un singolo fotogramma, e leggerlo come portatore di senso – la parte per il tutto –, è un’operazione rischiosa e comunque arbitraria: possiamo farlo solo a ritroso, sulla base della nostra conoscenza di una narrazione il cui senso ultimo sta nella successione di migliaia di immagini, momenti unici come quello che abbiamo scelto. Eppure ci sono film che si posso ritrovare per intero all’interno di un singolo fotogramma. Se si parla di Stanley Kubrick, poi, questo è il postulato da cui si può tranquillamente partire.

Quest’immagine congelata, tratta dall’inizio di Shining, mi sembra quella che, con mirabile sintesi e implacabile rigore formale, meglio rappresenta la lucida, glaciale rappresentazione kubrickiana della famiglia come triangolo isoscele, destinato a frantumarsi per l’irruzione destabilizzante di forze aliene che mettono radici nella superficie interna ai tre lati della figura. In macchina, Jack Torrence, la moglie Wendy e il figlioletto Danny, si sta dirigendo all’Overlook Hotel, in Colorado, dove assumerà per l’inverno il compito di custode tuttofare. Jack, scrittore fallito e alcolizzato, propenso a improvvisi e vilenti scatti d’ira- ma questo in Kubrick è appena accennato – ha accettato il posto sperando di potere, nella quiete del luogo, scrivere un romanzo. Su luogo aleggiano diversi presagi sinistri.

Non solo il custode precedente, scopriremo, è impazzito e ha massacrato le figlie con l’accetta, ma proprio in questa scena Jack racconta a Wendy della spedizione Donner, i cui membri, perduti tra le nevi, furono costretti a ricorrere al cannibalismo per sopravvivere.  Sulla nostra sinistra, Wendy guarda tra perplessa e vagamente spaventata, Jack, a destra, che al volante dell’auto è concentrato – piuttosto fissamente – sulla strada. Danny, dal sedile posteriore, si sporge in avanti, guardando con aria quasi protettiva la madre, e tiene la mano destra sulla giacca del padre. Vicino alla fronte, come dal finestrino di un aereo, un raggi odi sole sembra illuminarlo. E’ forse proprio lo “shining”, la luccicanza che permetterà al bambino di salvare la madre e di far morire la cosa-padre. Ecco che quella mano così, d’un tratto, non appare più ferma in un gesto di affetto, ma sembra quasi respingere Jack fuori dal triangolo, cui, come vedremo, non appartiene veramente.

E’ solo un’inquadratura, ma da il senso delle dinamiche di tutto il film che stiamo per vedere. Stanley Kubrick, ancora una volta, applica le regole del suo geometrico razionalismo all’unheimlich che i suoi personaggi esprimono, riuscendo a raggiungere, nello spazio rettangolare di un solo fotogramma, la più compiuta delle sintesi.

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