di Davide Benedetto
Pochi ingredienti di sicura efficacia, e tanta ottima cucina: ecco L’industriale, cronaca virata in seppia del nostro tempo stanco e stracciato, che mescola poco a poco le sue figure tragiche, l’imprenditore tutto d’un pezzo come nuovo Otello, Torino come diaspora dei sentimenti, l’amore come impossibilità troppo fragile per sopravvivere alla vita.
La trama ha quindi la semplicità d’un noir ruvido ma poetico, racconta i fallimenti, la rivolta, il sospetto, il tradimento definitivo degli affetti, delle ambizioni, della propria umanità, d’un giovane imprenditore già di belle speranze, oggi travolto da eventi che non controlla più.
Un ingranaggio semplice, che ci avvolge da subito con l’aspettativa d’una fine tanto tragica quanto beffarda, talmente inevitabile che a tratti il racconto diventa solo il giusto pretesto per una trama di anime e corpi, irresistibilmente travolti dalla cecità opaca di chi, il protagonista, non sa più darsi fiducia e speranza, e soffoca nel suo caos incomunicabile ogni possibile riscatto.
A colpire sono quindi i toni, anzi i mezzi toni, del racconto: il suo ritmo, la sua luce, quella luce senza colori, luce che cade e scivola sui volti e sui corpi, esaltando il disegno d’un viso, la curva d’un seno, un volto che è una trama di rughe; quel paesaggio, stralunato, corroso, d’una città grigia, ridotta a povero mosaico di frammenti anonimi, percepibile per assenze, intessuta di tensione, di voci arrochite dalla protesta dei cortei e dei presidi di fabbriche chiuse.
Restano quindi in noi la poesia, frammenti d’emozione per immagini: la sorpresa di certi scorci urbani inaspettati, il balzo elegante di lunghe scale sempre deserte, la grazia della danza solitaria del lavamacchine, la freschezza d’un nudo ottocentesco alla toilette, a ricordarci ciò che d’altro può offrirci la vita tra le sue pieghe ruvide.
La fibra profonda di questo film ci racconta che ciò che può cambiare la nostra vita, ciò che ci salva o ci precipita, è il destino cinico e baro, sono i banali incidenti del nostro quotidiano gioco dell’oca, faticose tappe così preziose, che d’improvviso scivolano via nel buio: ma il nostro affannarsi è sempre inutile se non sappiamo crescere, cambiare, aprire gli occhi su noi stessi per poter guardare gli altri, a volte neanche quando è ormai troppo tardi.
L’industriale
Regia: Giuliano Montaldo
Con: Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Eduard Gabia, Francesco Scianna
Distributori: 01 Distribution
Italia 2011