di Gianni Quilici
E’ un film paradossalmente on the road, pienamente riuscito.
Roan Johnson, al debutto come regista, riesce a fondere felicemente drammaticità e comicità.
La drammaticità è interna ai tre protagonisti, che scappano da Pisa, perché uno di questi, Pino Masi, cantore riconosciuto di Lotta Continua (è il primo giugno 1970), viene informato che sta per scattare un colpo di stato e che loro ( Lotta continua) saranno “i primi della lista”.
La comicità, un’esilirante comicità, è che noi spettatori sappiamo che non è vero, che tutto ciò che i tre immaginano è frutto soltanto della loro immaginazione (anche se alla fine degli anni ’70, ci sarà il tentativo di golpe di Borghese). Così le camionette di soldati che vanno a Roma non sono segnali del golpe, ma semplicemente della parata militare del 2 giugno. Così il controllo puntiglioso con telefonata alla frontiera con l’Austria non è un motivo rafforzativo del golpe, ma è determinato semplicemente da documenti sballati, da infrazioni stradali.
Ma la ragione di questo felice connubio tra dramma di loro e divertimento nostro nasce da una sceneggiatura, che disegna con nettezza i caratteri e il divenire del loro confliggere. Infatti da una parte troviamo Pino Masi, determinatissimo nella sua indistruttibile paranoia ideologica, e dall’altra Fabio Gismondi, che non accetta ben presto il ruolo del Masi leader, che decide e sentenzia, e si contrappone a lui fino alla violenza, mentre ai margini rimane il terzo, Renzo Lulli, timido e preoccupatissimo delle conseguenze che la sua fuga potranno avere in famiglia, con un padre brutalmente autoritario ed una mamma angelicamente apprensiva.
Il regista non banalizza la verità dei caratteri, cercando la facile risata, ma le gag e le battute folgoranti nascono all’interno di una situazione grottesca e da questi contrasti.
Gli attori incarnano efficacemente i loro ruoli. Non solo Claudio Santamaria, l’unico professionista, che scolpisce un Pino Masi indimenticabile, ma anche altrettanto bravi, i debuttanti (nel cinema) Paolo Cioni e Francesco Turbanti, confermando quale patrimonio attoriale si cela dentro il nostro teatro.
Azzeccato il finale. Non era facile concludere. Il viaggio, mesto, del ritorno e poi una città (di compagni) che li irride, potevano essere un possibile filo conclusivo. Il regista (e gli sceneggiatori) hanno scelto una strada diversa: una canzone “Quello che non ho” di Fabrizio D’André, che i tre cantano fuori dal carcere austriaco, dove erano finiti, con l’inquadratura del cielo a rappresentare forse la zona che il film sottace, cioè le speranze ingenue e i desideri che quella stagione ha rappresentato e può rappresentare; ed infine l’incontro dei tre personaggi-attori con i tre protagonisti veri (allora) della vicenda. Un omaggio certamente a Pino Masi, a Fabio Gismondi, a Renzo Lulli, ma forse anche una sottolineatura di quella verità-falsità che una pellicola come questa ancora più di altre evidenzia, essendo sorta da un fatto, come è noto, veramente accaduto.
I PRIMI DELLA LISTA
Regia: Roan Johnson
Interpreti:
Claudio Santamaria (Pino Masi)
Francesco Turbanti (Renzo Lulli)
Paolo Cioni (Fabio Gismondi)
Sergio Pierattini (Padre di Lulli)
Daniela Morozzi (Mamma di Lulli)
Fabrizio Brandi (Padre di Gismondi)
Pierpaolo Capovilla (Barista)
Soggetto: Renzo Lulli
Sceneggiatura: Roan Johnson, Davide Lantieri, Renzo Lulli (Collaborazione), Francesco Bruni (Supervisione)
Musiche: Ratchev & Carratello
Montaggio: Marco Guelfi
Costumi: Andrea Cavalletto
Scenografia: Mauro Vanzati
Fotografia: Tommaso Borgstrom
Suono: Stefano Campus Alessandro Feletti (montaggio del suono) Dario Calvari (montaggio del suono)
Italia 2011
Durata: 85′