Sabato 26 novembre 2011
Dormo soltanto tre ore. Sulla macchina la tromba di Louis Amstrong mi sembra umana. La sua voce roca e potente mi pare, invece, inconfondibile. La nebbiolina sulla pianura Padana l’associo a delle foto, in cui nella perfezione tecnica, l’immagine acquista una sembianza anche metafisica.
Nell’hotel in cui da un decennio e più pernottiamo… una delle due signore non c’è più. Il tempo, che inesorabile passa.
Nessuna fila per l’accredito; velocissima, l’altra, per prendere i biglietti giornalieri. Abbiamo così la possibilità di prendere al volo almeno uno dei tre telefilm di Altman. Entriamo che sta finendo quello presentato da Hitchcock, di cui cogliamo solo una sequenza, magnifica nel fulgido B/N, che termina posandosi sul volto in primissimo piano di Joseph Cotten, intrappolato. Bonanza è un western di cartapesta piacevole con alcune sequenze passionali, in cui si riconosce la mano di un regista di talento.
Il pranzo è veloce. L’interrogativo: andare a vedere o no il film di Sion Sono, regista giapponese che non conosco, di cui viene presentata la retrospettiva?
Decido di sì. Se mi piacesse, avrei poi una ragguardevole possibilità di visioni fruibili. La pellicola non mi “tiene” o, se vogliamo, sono io che non tengo la pellicola. Vengo, infatti, assorbito da ondate di sonno. Vedo e non vedo, ma quando apro gli occhi trovo la vicenda incomprensibile, fastidiosa la voce fuori campo che racconta, iperboliche certe situazioni, come se l’intento fosse quello di stupire. Solo un’impressione, ma con Sion Sono, da quel momento, chiudo.
In via Po le bancarelle dei libri usati o nuovi, e a prezzi ridotti, è un piacere di impreviste scoperte, a cui ricorrerò spesso tra una visione e l’altra. Una sorta di esplorazione, che appesentirà di piacere la valigia al ritorno.
L’illusion comique del regista-attore Mathieu Amalric, si rifà ad un piece di Corneille, anche nel linguaggio arcaico-filosofico. Il film, però, mi allontana. Forse è troppo alto per me, forse è troppo ambizioso per le possibilità di Amalric.
Freakbeat di Luca Pastore è il tentativo di Freak Antonio di giocare a fare un’inchiesta: scovare il mitico disco dell’incontro tra Jimi Hendrix e l’Equipe 84, attraverso le strade dell’Emilia. Film velleitario. Non si scopre nulla, ne’ ci si diverte, anche se queste sono forse le intenzioni della regia. Sempre vive le canzoni dell’Equipe 84, ma, in questo contesto, fanno malinconia.
Into the Abyss di Herzog è invece un’emozione, che corre lungo tutta la pellicola, come scrivo a parte. Penso: come mi piacerebbe una personale del regista forse più cosmopolita e curioso del pianeta! Dei suoi film, ma soprattutto dei suoi magnifici documentari, imprevedibili esplorazioni del nostro mondo e di certi suoi particolari abitanti.
Domenica 27 novembre 2011
Ode alla colazione con brioche, carezzevoli e sostanziose, caffè e latte con pane e marmellata ecc, ecc. E’ come un buongiorno fatto di tanti sorrisi!
L’inizio della mattinata cinematografica è gratificante. The Slut della regista e attrice israeliana Hager Ben Asher è cinema, è film carnale fatto di sguardi, di paesaggio autentico, di silenzi carichi, di sentimenti non detti, mostrati e sfuggenti. Il più sorprendente tra i film visti. Ne parlo a parte.
Wrecked del regista canadese Michael Greenspace ha come interprete, quasi protagonista assoluto, un grande Adrien Brody. L’inizio è molto fisico e enigmatico. Un uomo ferito, in una macchina distrutta in fondo ad un burrone, in mezzo ad una foresta con due cadaveri nel sedile posteriore, e in difficoltà ad aprire la portiera. Peccato che non riesca a tenere il filo e che il finale spieghi la storia, ma limiti il senso!
Sono curioso di vedere “Il sorriso del capo” di Marco Bechis, di cui mi piacque molto il primo film, assolutamente da riscoprire, “Alambado” ed anche i successivi. Bechis cerca di rappresentare, attraverso documenti inediti dell’Istituto Luce, il modo come Mussolini riuscì a creare un rapporto di identificazione. E sono certi documenti, dove si intravedono aspetti secondari, Mussolini e il fascismo dietro le quinte, che evidenziano la cura con cui il regime costruisce il mito del capo. E non si può fare a meno di notare, sul problema del rapporto tra folla e capo, come certi meccanismi di allora siano simili a quelli di oggi. Soprattutto come alcune tecniche di comizio di Mussolini siano state riprese da Berlusconi pari pari. La più evidente: le domande verso la folla, che risponde.
Mi diverto, invece, come da tempo non mi succedeva, alla visione, in versione originale, di Midnight in Paris” di Woody Allen. Non ho avuto il coraggio poi di ri-vederlo doppiato, ma immagino che sia stato difficile renderlo con la stessa forza. Del film ho già scritto su questo sito, ma aggiungo soltanto un dettaglio: il personaggio di Hemingway è quello che più di tutti mi ha divertito.
Lunedì 28 novembre 2011
Intenso corto di laurea Figs della giovanissima regista Anu Velia. Ritratto poetico e asciutto di una adolescente, graziosa, sensibile e sola, che vive con una famiglia problematica, in una fattoria del Midwest, circondata da una squallida periferia industriale. Un corto che lascia una risonanza.
I telefilm Combat! di Altman sulla guerra, ne parla Maddalena Ferrari, sono sempre un piacere: storie intense, antimilitaristiche, problematiche, buoni attori, bel B/N.
Park Soo-nin è il trentenne regista coreano, che presenta il suo primo lungometraggio A confession di fronte alla grande sala del Massimo. E’ entusiasta e chiede se può fare una foto al pubblico, perché, osserva, “c’è più gente in questa sala, di quanti in Corea abbiano visto il film”. A confession è un film ben fatto, ben recitato, ma, viene da chiedersi, perché i coreani sono così inutilmente crudeli? Una crudeltà che deborda, nella quale le problematiche filosofiche sollevate non mi sembrano all’altezza della rappresentazione.
La serata cinematografica termina con un mediometraggio di un giovane russo, trasferitosi a New York, Andrej Severny, “Condition”, prodotto dal grande regista iraniano Amir Naderi. Quali sono le conseguenze psicologiche di un evento catastrofico, non ben precisato? Questo il tema del film; purtroppo velleitario da qualsiasi punto di vista si osservi.
Martedì 29 novembre 2012
Un amico mi invia un sms con una parola soltanto: “Dolore”. Non capisco. Il mio amico ama giocare, sarà uno scherzo? All’edicola compro, come sempre, Il manifesto e leggo. “E’ morto Lucio Magri”. Sarà un dolore che mi accompagnerà per tutto il Festival e oltre, per l’importanza che Magri ha avuto nella mia formazione, perché lo considero uno dei politici più acuti del secondo dopoguerra, e forse non solo in Italia.
Vedo altri telefilm di Combat… scrivo, medito…
Nel pomeriggio vedo il film in concorso, tra quelli visti, che più mi ha colpito, Three and a Half, del regista iraniano Naghi Nemati, impossibilitato a venire, perché, scrive, impegnato nella stesura di una sceneggiatura. E’ abbastanza prevedibile che la ragione sia, in realtà, un’altra: il regime iraniano. Alla fine del film verrà letto un elenco lungo ed incompleto di inteelttuali iraniani condannati o censurati. Il più clamoroso di tutti è il regista Jafar Panahi condannato a 6 anni di reclusione e con il divieto a fare film per 20 anni.
Ed il film non delude. Tre giovani donne. Tre storie diverse, che s’ncrociano. Affetti e conflitti, amore e tradimento, durezza di esistenze, senza un orizzonte, che disperatamente cercano.
L’ultimo film della giornata è una festa della visione. Ri-vedo “I protagonisti” di Altman. C’è cinema e riflessione sul cinema, ferocia e ironia, dolore e comicità. Uno dei migliori film di Altman, con un grande Tim Robins. Un classico.
Mercoledì 30 novembre 2012
Si fanno i bagagli. Si lasciano all’albergo. Una passeggiata fotografica per Torino: i portici e le grandi piazze, le statue e i volti, il Po e i ponti nella mattina luminosa.
I video di Altman sono pubblicitari, una volta tanto deludenti. Per fortuna c’è il tempo per vedere Sic Fiat Italia, di uno dei più significativi documentaristi italiani, Daniele Segre. Tema: i giorni precedenti il referendum imposto da Marchionne alla Fiat. Una ventata di contemporaneità diretta: propositi irriducibili di lotta e paura del futuro, discussioni e ragioni, dolore e scelte difficili.
Rimane il pranzo, come sempre veloce, e l’ultimo film: due video di Eugène Green, Le nom du feu, Les signes. Ambiziosi nella loro filosofica sceneggiatura, nella astrazione della recitazione, nella limpidezza dell’immagine, ma velleitari nella sostanza.
Nel viaggio di ritorno panoramica sui film, parole nell’aria, altri desideri.
Mary said,
Dicembre 21, 2011 @ 00:58Tutto così intenso!