Quanti sono i videomaker professionisti o almeno professionali a Lucca? E quante “opere significative”sono state prodotte?
Iniziamo con questo numero il percorso con uno di questi: Marcantonio Lunardi, fondatore dell’Associazione documentaristi toscani e fondatore dell’associazione RECIDIVI per lo sviluppo del cinema nelle Puglie e in Basilicata. Di Marcantonio Lunardi ho visto alcuni documentari: “La casa che non c’è” sui somali in Italia e “Quel giorno di neve”, il racconto di 54 operai tessili licenziati nel luglio 2006 da una fabbrica, in cui lavoravano da 20 anni e sono rimasto colpito dalla capacità di far sentire nella documentazione i “palpiti della poesia”.
Ho scoperto il cinema da piccolo, con Blad Runner, e sono rimasto affascinato da com’è stato creato, scritto, montato. Il video invece ho iniziato a praticarlo dal 2001. Prima facevo fotografia, ma dopo aver vissuto gli eventi di Genova 2001 ho sentito l’esigenza di passare alle immagini in movimento. Esigenza non semplicemente psichica ma decisamente fisica. Sono partito autoproducendomi, come era logico. Poi ho trovato un produttore, che cura tutti gli aspetti della gestione dei mio lavori. Il mio primo video è stato realizzato in collettiva e prodotto dal festival dei Popoli.
Che tipo di cinema
Mi occupo di due aspetti tra loro molto collegati: il sociale e la politica, con il loro naturale sviluppo antropologico. Mi ha influenzato molto il cinema del regista austriaco Michael Glawogger, con cui mi sono formato. La sua influenza ha riguardato sia la mia scrittura sia la mia fotografia. Studiando i lavori di Artvazard Pelechian e Vittorio De Seta ho sviluppato uno degli elementi fondamentali della mia cifra stilistica che consiste in primo luogo nella rottura con il documentarismo televisivo.
La produzione
I costi di un video professionale si attestano a partire da 50mila euro su. Il nostro lavoro è sempre più incerto e precario. Non sappiamo se nel prossimo anno avremo finanziamenti pubblici, da parte dello Stato, per sostenere le nostre attività. A livello regionale, invece, si stanno cercando nuove forme di finanziamento, coinvolgendo le associazioni industriali e altre strutture (le fondazioni per esempio).
La distribuzione
La distribuzione è l’altro grande problema. Con l’Associazione Documentaristi Toscani, di cui sono cofondatore, stiamo cercando un accordo con le sale digitalizzate della Toscana che ci permetta di far proiettare settimanalmente le nostre opere. In questi ultimi anni la presenza di strutture associative è uno strumento molto importante per la circolazione dei nostri film. Se queste non ci fossero gran parte del nostro lavoro riuscirebbe a circolare solo nei circuiti dei festival o degli ambienti specializzati senza poter arrivare al pubblico. Il mio film sui rifugiati somali “La casa che non c’è” è stato visto in un mese da 4500 persone circa, età media venticinque anni, utilizzando esclusivamente la rete di scuole e luoghi di aggregazione di vario genere. Alcuni dei “documentaristi toscani” tengono corsi all’interno delle scuole. Progetti di questo tipo sono particolarmente importanti per formare bambini e giovani a una cultura cinematografica e critica, dal momento che tra gli adolescenti è largamente prioritario un approccio visuale di stampo televisivo. In sostanza ritengo che gli adolescenti si rapportino all’immagine, specie nel caso della televisione, in modo totalmente passivo essendo privi degli strumenti critici necessari per osservare un qualsiasi prodotto video con la dovuta capacita di analisi.
I Festival
Anche i Festival sono, in buona parte, cancellati dai tagli di questo governo. Festival italiani importanti sul cinema documentario come “Visionaria film festival” (di Siena) e “Tekfestival” (di Roma) sono stati costretti a chiudere. Queste, che sono state vetrine importanti per far conoscere le nostre opere, stanno venendo a mancare una dopo l’altra lasciando presagire un vuoto che va a discapito degli spettatori non meno che degli autori di documentario.
Il futuro
Ho diversi progetti in corso. La prossima realizzazione sarà un’opera di videoarte sulla libertà, visto che a me piace contaminare i generi trovando punti di continuità tra documentario e arte. Sto girando un documentario antropologico su Vagli con l’amico e collega Clemente Bicocchi. Infine sto scrivendo il trattamento per un lavoro sulle accabadore, le figure che nel folclore sardo erano incaricate di dare la morte pietosa agli agonizzanti.
Il mio progetto di vita è di cercare di lavorare in altri contesti che non siano quello lucchese: qui – e devo dire purtroppo – non c’è spazio per quelli che fanno il mio mestiere. Nel tempo mi ero fissato degli obiettivi che avrei voluto raggiungere riguardo alla partecipazione a importanti festival internazionali. Contro le mie stesse aspettative ci sono riuscito e la cosa interessante – o forse più normale di quanto si crede – è che il mio lavoro essendo molto caratterizzato in senso politico è circolato quasi esclusivamente oltre il confine italiano.
Adesso rimane il mio desiderio più grande: quello di aprire una mia casa di produzione all’estero. Non sono un esterofilo per convinzione, anzi preferirei sicuramente lavorare in Italia per una tale quantità di ragioni che sarebbero troppe da elencare. Neppure fuori nessuno ti regala niente, ma per quella che è la mia esperienza ho trovato più apertura nei confronti del mio mestiere in questi ultimi mesi che non in anni di lavoro in Italia.
da Linea dell’occhio n. 3