di Riccardo Dalle Luche
Il magnifico settantacinquenne Woody Allen in versione sempre più europea (qui il film è girato a Parigi e la coproduzione è spagnola) confeziona con Midnight in Paris l’ennesimo esercizio di stile o, meglio, l’ennesima variazione di stile sul suo solito tema autobiografico di come la vita reale sia insufficiente a garantire una sopravvivenza dignitosa se non viene sorretta dal registro immaginario.
Se l’età non gli consente più di recitare come protagonista, Allen adopera delle controfigure attoriali (qui Owen Wilson che imita alla lettera tic, gesti e battute di Woody) per affermare le sue tesi autoriali e filosofiche. Non è solo la storia a renderle evidenti, ma le battute che, come in una mise en abîme le esplicitano all’interno della storia.
Il pretesto del film è la messa in scena del tema della nostalgia per i bei tempi andati in cui la cultura aveva un senso ed un valore di per sè, e non era completamente soggiogata dall’industria produttiva (editoriale e cinematografica): quella cultura su cui Allen (e noi) ci siamo formati, quella dei T.S. Eliot, dei Joyce, dei Buñuel, degli Hemingway cioè degli anni ’20 in cui Parigi fu il centro di tute le rivoluzioni culturali. Il protagonista, lo scrittore/controfigura alleniana Gil, come una moderna Cenerentola, a mezzanotte in punto ha l’opportunità di entrare letteralmente in questo mondo così come qualche decennio fa Mia Farrow poteva entrare nella scena de “La rosa purpurea del Cairo” per concretizzare i propri sogni. E’ questo il modo per ritrovare la propria identità, prendendo le distanze dalla modernità della ricca borghesia americana, manovrata dal capitale e dalla più bieca e volgare industria culturale. Ma si innamorerà di una ragazza degli anni ’20 la quale disprezza la sua attualità parigina a favore di quella della Belle Epoque delle Follie Berger, dei Toulouse Lautrec, dei Gauguin e Degas. Così Allen si ritrova ad ammorbidire filosoficamente la propria nostalgia a favore di un relativismo culturale ed epocale.
A parte il suo senso, il film è spassoso per la sua capacità di ricostruzione ambientale e di ricreare i personaggi dell’epoca, divenuti a posteriori, un po’ fortuitamente, suggerisce Allen, dei miti culturali. L’anacronismo in cui si trova il protagonista, e il suo “senno di poi”, gli consentono di creare gags esilaranti e ironiche sui destini delle celebrità a venire: ad esempio quando il giovane Buñuel non riesce a capire la trama de “L’angelo sterminatore” che Gil gli suggerisce.
Nel complesso ci siamo trovati di fronte, grazie a Woody Allen, ad un film vedibile e godibile, in un panorama cinematografico in cui questo non è affatto comune nè tantomeno scontato.
di Woody Allen,
con Owen Wilson, Rachel McAdams, Michael Sheen, Nibna Arancia, Kurt Fuller Usa/Spagna, 2011