di Gianni Quilici
Riesce a creare una corrente d’immagini fluide e necessarie.
L’energia dirompente delle canzoni e l’eroticità dei corpi, la spettacolarità delle sceneggiate e la scenografia realistica di Antonio Farina, il montaggio flessuoso di Simona Paggi e i movimenti di macchina che scoprono dettagli, l’autenticità dei corpi di oggi e quelli dei documentari di allora, la limpidezza della fotografia di Marco Pontecorvo e i raccordi misurati e teatrali della voce e del corpo di John Turturro: ne esce fuori il ritratto della Napoli migliore: vitalistica e passionale, popolare e spettacolare. Non la Napoli, se non per qualche cenno, del malaffare e della “bruttezza”, anche estetica…
Ma sarebbe una critica che forse va oltre il compito che John Turturro si è prefisso: dare un’idea di Napoli attraverso le sue canzoni…
Canzoni spesso straordinarie per l’insieme tra musica, interpretazione e sceneggiata come “Tammurrata nera” “Comme facette mamma” “Dove sta Zazà”, su cui, a lungo, si potrebbe scrivere.
Gli interpreti sono tutti nel ruolo, da Peppe Barra alla Compagnia di canto popolare, da Lina Sastri a Massimo Ranieri, da Peppe Servillo agli Avion Travel, da Raiz a Max Casella, però vorrei evidenziare in particolare Pietra Montecorvino, che ha una voce e un volto selvaggi assolutamente unici e stupisce che, a parte Renzo Arbore, se ne sia accorto soltanto un attore-regista americano.