di Mimmo Mastrangelo
E in principio furono i Cahiers du Cinema e la Nouvelle Vague.
Gilles Deleuze (1925-1995) non ne fece mai un mistero in vita, tutta la sua primaria curiosità, il suo piacere verso il cinema lo dovette alla politica degli autori dei Godard, dei Truffaut, dei Rivette, dei Resnais e agli interventi critici-teorici del fondatore dei Cahiers André Bazin. E Deleuze, che stato uno dei più ricercati studiosi che ha analizzato il cinema con gli strumenti della filosofia, dai “nuvellisti” fece propria quella particolare condizione di relazionarsi con le ombre delle schermo che è la cinefilia.
Il filosofo parigino fu un cinéphile (cinefilo) nel senso che alla passione, all’amore per le immagini in movimento agganciò un tracciato teorico così come viene dimostrato in un piccolo ed interessante saggio di Fabrizio Denunzio, docente all’Università di Salerno di Teoria e Tecniche del Linguaggio Radiotelevisivo e Sociologia dei Processi Comunicativi.
Deleuze cinéphile, edito da Liguori Editore, si tiene a distanza dalle teorie cinematografie ben affrontate e toccate dallo studioso nei conosciuti “L’immagine movimento” (1987) e “L’immagine tempo” (1989), punta piuttosto a palmare il “disegno di una passione”, i tratti più vivi di un amore. E lo fa inseguendo le sensazioni che Deleuze provò davanti ai disegni del lungometraggio d’animazione “Alice nel paese delle meraviglie” (1951). Dalla visione del cartone animato firmato da Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson il filosofo arrivò alla conclusione che “ogni immagine cinematografica è sempre implicata nel movimento del fotogramma che la precede e in quella che la seguirà”.
Altre “tappe” importanti su cui Denunzio si sofferma del Deleuze cinéphile sono ( e non poteva essere altrimenti) le lezioni tenute dal 1968 al 1980 al Dipartimento di Filosofia di Vincennes, filmate da Marienne Burkhalter, nonché le trasmissioni televisive di Godard pensate registrate a metà degli anni settanta non tanto per capire la tv in quanto tale ma per individuare le pratiche che la vanno trasformando come mezzo di comunicazione.
Interessanti del libretto sono pure gli altri brevi capitoli sulle attenzioni di Deleuze a Peirce , Foucault e a come il cinema possa cambiare nello spettatore la percezione del sapere.
Infine fa bene Denunzio a non sottovalutare di Deleuze il suo ultimo scritto sul cinema relativo al film di Jacques Rivette “Una recita a quattro” (1989). Qui, nel confermare tutta la sua cinefilia, Deleuze evidenziò l’intransigente compito della critica di formare concetti che non sono direttamente dati, esplicitati nello scorrimento delle sequenze di un film.
FABRIZIO DENUNZIO. I “DELEUZE CINEPHILE”. LIGUORI EDITOREPAG 96. EURO 12.90