di Simona Cappellini
Si può criticare Gonzalez Inarritu per il lessico forzatamente anti-sentimentale tanto da divenire paradossalmente lezioso, o per l’insistenza di tematiche sociali incentrate sulle vite dei miserabili e raccontate con reiterato iperrealismo. Ma è difficile non restarne fatalmente contaminati. Forse per la straordinaria bravura di attori quali Javier Bardem, o per l’effetto toccante della musica di Gustavo Santaolalla, Inarritu arriva a colpirti proprio dove puoi essere colpito.
Del resto difficile soddisfare le aspettative, restare sul livello di apprezzamento dei lavori precedenti, quando l’effetto innovativo di una cifra stilistica intimista e cruda è già stato digerito, (per non dire imitato ormai da molti, non ultimo Clint Eastwood con Hereafter) e quando non si può più contare sulla scrittura di un grande Gulliermo Arriaga.
Biutiful riesce comunque a paralizzare e stordire lo spettatore per ben 138 minuti, con una struttura circolare standard che si distacca dalle costruzioni complesse dei film precedenti, a conferma del fatto che non c’è bisogno di ricorrere a tecniche particolarmente di effetto o alle buone dosi di cinismo a cui ci siamo lentamente assuefatti, per fare un buon film.
Personaggio chiave di Biutiful è Uxbal, uno dei tanti dimenticati della terra che trascorre le giornate in una lotta tra miseria, problemi coniugali e traffici sporchi. Uxbal non ha mezzi, né tempi per redimersi. Non può indulgere in dubbi, né negoziare le fasi di accettazione della propria discesa verso la morte, quando scopre di avere un cancro. E’ un uomo composto, forse con uno spessore che non ci è dato di vedere ma di cui si avverte una certa dignità, soffocato dalle circostanze di un luogo scomposto che inebria e strozza allo stesso tempo. Un mancato eroe dei nostri tempi, fotografato in un momento ben preciso, in bilico tra vita e morte, corpo e spirito, coscienza e perdizione.
Ma i sobborghi degli immigrati, così come la malattia del protagonista, sono solo un pretesto per indagare ancora una volta sulla condizione umana, di uguaglianza nei confronti della morte e di fatalità per il luogo in cui nasci. Inarritu riesce a raccontare un viaggio doloroso personale che si intreccia con quello epico di popoli migranti, ma sempre da un punto di vista umano più che sociale. Fragilità, integrità, forza, debolezza emergono costantemente nei momenti di maggiore intensità, ovvero nei rapporti tra le persone: il padre con i figli, il marito con la moglie, l’imprenditore cinese padre di famiglia con il giovane amante. L’uomo e il suo emisfero emotivo.
La fotografia di Rodrigo Prieto incide le atmosfere del film, che regala sullo sfondo immagini di una Barcellona underground dal fascino decadente e recalcitrante, a metà tra un campo di battaglia di un quadro di Goya e un obitorio, in netto contrasto con la bellezza architettonica di Gaudì e i tramonti sul mare. Il risultato è uno spettacolo toccante sulla decomposizione del mito occidentale, svuotato e smembrato in tanti piccoli universi che convivono in un unico grande calderone.
BIUTIFUL
REGIA: Alejandro González Iñárritu
SCENEGGIATURA: Alejandro González Iñárritu, Armando Bo, Nicolas Giacobone
ATTORI: Javier Bardem, Blanca Portillo, Rubén Ochandiano, Félix Cubero, Martina Garcia, Manolo Solo