intervista e foto di Gianni Quilici
Thierry Toscan. Attore magnifico del film di Giorgio Diritti “Il vento fa il suo giro” e protagonista indiscutibile dei “60 anni” del Circolo del Cinema di Lucca. Due incontri: la sera dopo la proiezione del film in un incontro con il pubblico cittadino andato oltre l’una di notte; il mattino successivo con 200 studenti medi superiori. Incontri intensi ed anche sciolti, divertenti di confronto su un film che, nonostante il taglio documentaristico e i sottotitoli, è piaciuto molto e sopratutto ha molto emozionato.
Con Thierry Toscan abbiamo attraversato il centro storico partendo da San Micheletto, lo abbiamo fotografato per poi intervistarlo in un caffè all’aperto di piazza San Michele con la gente che andava e veniva nella via.
Thierry Toscan ha uno sguardo dritto e fiammeggiante, in cui si legge autonomia ed energia, orgoglio e quel mistero che, ogni volto dovrebbe, in qualche misura, contenere. Poi ha belle mani grandi che conoscono la vita.
Tra tanti volti borghesi e piccolo-borghesi della nostra cinematografia italiana è uno di quei visi non omologabili ,come lo sono pochi altri in Italia. Vedendolo ho pensato “un volto herzoghiano”, filtrandolo sopratutto attraverso Vittorio Mezzogiorno in Grido di pietra.
Ecco l’intervista.
Sei nato…?
Sono nato nel 1958 in Francia, a Metz in Lorena, da padre italiano, ma nel 1981 sono venuto in Italia, in un paesino, Monfumo…
Perché?
Per cambiare tutto: ambiente, vita, lingua…
E il tuo rapporto con il paese?
Non è stato difficile. Molto migliore che in Francia, perché l’italiano come popolo è più diretto, più simpaticone, ti batte la mano sulla spalla, beve una birra con te…
E quando hai cominciato a lavorare?
In Francia già a 14 anni. Ho fatto il falegname, il fabbro, il giardiniere…
Ed i primi interessi artistici?
La mia prima espressione artistica è stata la scultura e la pittura quando ero in Francia
Ed il cinema come l’hai scoperto?
L’ho scoperto scrivendo racconti. La sera in Italia mi sedevo in un angolo di un bar con una birra e osservavo le persone. Alcune di queste mi ispiravano come personaggi e da questi traevo delle storie. Erano racconti brevi, che infilavo poi in una busta, aprivo l’elenco telefonico, mettevo un dito a caso su un nome, riportavo l’indirizzo, chiudevo la busta e la inviavo. Queste persone si vedevano recapitare il racconto senza alcun nome e quindi potevano viverlo come un punto interrogativo per un po’. Era per me allora un modo per far vivere una storia.
E’ una bella storia da romanzo e forse da film quella che mi hai fatto intravedere. Tuttavia come e quando il tuo rapporto con il cinema è diventato più concreto?
Sono andato a Roma per vedere se i miei racconti potevano interessare e mi hanno detto di provare con Olmi.
Hai incontrato Olmi?
Certo, ma il tipo di storie che scrivevo a lui non interessavano. Mi ha detto, invece, che potevo essere utile nel cinema “a portare le valigie”. Cosa che ho fatto. Quindi ho fatto l’aiuto macchinista, l’aiuto elettricista e molti di quei lavori necessari in un set e da lì nel giro di qualche anno sono diventato assistente operatore, poi operatore, sono passato agli effetti speciali fino a diventare scenografo. Come scenografo ho lavorato in Arcipelago, Io non ho la testa, L’aria del lago e altri film.
E il Thierry attore?
In quasi ogni film in cui ero presente mi si chiedeva di fare delle particine. Tra queste quella più impegnativa è stata in Articolo due di Maurizio Zaccaro, quando dovetti mettermi nei panni di un fascista che ammazzava di botte un marocchino…
Con “Il vento fa il suo giro” diventi invece il protagonista centrale. Ti è stato difficile calarti in Philippe?
Sì, perché come mi è stato presentato lo odiavo.
Strano, perchè almeno ad uno sguardo superficiale, ed anche conoscendoti un po’, sembrate simili…
Lo odiavo perché lo trovavo molto diverso da me: io sono timido, rispettoso, mi annullo per fare stare bene gli altri, mentre Philippe, a volte, è prepotente.
Bello ciò che dici! Però mi pare, pur avendoti appena conosciuto, che ci sia anche in te, come nel protagonista del film, quel desiderio di non adattarsi allo stato delle cose esistenti, di inseguire dei sogni… Insomma quel pizzico di follia, che va oltre il conformismo dei più.Sbaglio?
No, non sbagli. Quello che sento mio di Philippe è quell’essere filosofo, quel coraggio di inseguire una propria idea della vita. Questo sì.
E’ stato faticoso interpretarlo?
Faticosissimo. E’ stato faticoso dover tenere questo personaggio, non qualche settimana come di solito succede, ma per un anno. Perché il tempo di lavoro è stato lunghissimo ed anche negli intervalli, in cui non si lavorava, non dovevo ne’ ingrassare, ne’ dimagrire e soprattutto dovevo mantenere quella psicologia, che non è mia.
Episodi divertenti sul set?
Sì, tutti quei momenti, in cui succede qualcosa di imprevisto: inciampi e non dovevi inciampare, non ti viene la battuta o la sbagli… Allora si ride…
E fuori dal set?
Sì, uno in particolare proprio alla fine delle riprese, quando eravamo tutti molto stanchi. Avevo preparato in un mese di tempo un monologo di 35 minuti, in cui raccontavo l’avventura vissuta nel film ai miei genitori, facendo finta che essi mi avessero, invece, mandato in una colonia e facendo diventare per esempio il regista l’animatore della colonia eccetera, eccetera. Il monologo si chiamava: “Grazie mamma, grazie papà per avermi mandato in colonia”. Mi ero quindi dato da fare a prepararlo, avevo fatto dei manifesti, li avevo attaccati…
Però la sera stessa, poco prima del monologo, c’era stato un diverbio nella troupe durissimo, tanto che le scene del giorno dopo rischiavano di saltare. Puoi immaginare allora quanto fossi preoccupato! Invece andò benissimo. Lo spettacolo sciolse le tensioni, si rise moltissimo e Giorgio Diritti alla fine mi ringraziò.
Ci sono state delle scene pericolose?
La scena in cui corro in cannottiera per il paese l’ho girata a 1500 metri, la mattina presto d’inverno con una temperatura a -2°, dopo che la notte aveva nevicato. Quel mattino ho veramente creduto di avere un arresto cardiaco.
Una scena che ti ha procurato particolari difficoltà?
“La parola tolleranza a me non piace, perché se devi tollerare qualcuno non c’è più il senso di uguaglianza”. Questa semplice battuta me la sono ripetuta per tanto tempo, perché richiedeva una forza di dizione ed un’espressione del volto, che non riuscivo a immaginare.
E il tuo rapporto con le capre?
Le capre mi davano molto fastidio (oggi non più), perché hanno un odore pungente, che rimaneva nei vestiti, nella camera, perfino nel letto. Per poter guidare il gregge da solo sono andato a lavorare da un pastore con Alessandra Agosti e ho fatto di tutto: pulire la lettiera, togliere il letame, mettere la paglia nuova, mungere.
Con Alessandra Agosti in che senso?
Nel senso che anche lei ha imparato a mungere le capre, a fare il formaggio…
Non si potrebbe facilmente immaginare considerando l’aspetto così fine e femminile…
Lei non ha fatto nessuna difficoltà: ne’ di odori, ne’ di sporcizia, ne’ di sporcarsi le mani.
Il rapporto con i bambini?
Molto bello, quasi familiare. Succedeva che anche fuori dalla scena ci chiamassero “papà” e “mamma”.
Hai imparato qualcosa che non conoscevi prima?
Sì, grazie ad Alessandra, compongo colonne sonore e altri pezzi musicali. Infatti Alessandra è una pianista di professione. Aveva con sé il piano e tutte le sere si esercitava. Ascoltavo. E questo è stato lo stimolo.
Ti ha dato soddisfazioni questo film?
Tantissime. Più che nei festival nelle sale di paesi e città ed anche negli incontri con le scuole. Un giorno mi calò in braccio una persona in lacrime, mettendomi anche in imbarazzo, facendomi mille complimenti. Ed è da maggio che lo presento una o due volte la settimana.
Che cosa hai fatto e che cosa stai facendo attualmente?
Ho interpretato Hotel Meina di Lizzani, Tre lire il primo giorno di Andrea Pellizzari, una serie di corti e medio-metraggi, una fiction per la RAI.
Cosa ne pensi di Carlo Lizzani?
Molto bene. E’ una persona dolcissima, che non diffonde nervosismo nella troupe e che sa in ogni momento quello che vuole.
C’è un regista con il quale ti piacerebbe lavorare?
Herzog. (Ci pensa a lungo). Poi Michalkov.
E attrici?
Valeria Golino.
Hai anche altri progetti?
Sto scrivendo un romanzo basato su una storia vera e sto realizzando un lungometraggio in collaborazione con le scuole elementari del mio paese.
Ma scusa … qual è la tua professione?
(Sorride). Ci devo ancora pensare.
Che impressione hai avuto di Lucca?
Lucca è una cittadina anomala. Piacevolmente anomala. Di solito questo tipo di città molto storiche e frequentate danno luogo a forme di snobismo, che qui non ho trovato.
Sei ottimista per il tuo futuro?
Sono ottimista per la mia determinazione e volontà, ma non per quello che ne verrà fuori da parte degli altri.
da “Lo schermo”