di Gianni Quilici
L’inizio lascia presagire la possibilità di essere entrati in un grande film. Il risveglio di una coppia in un hotel. Lei, giornalista televisiva francese di grande successo, bella e disinvolta; lui, il suo collega-amante, bruno e virile, ancora fra le coperte nel dormiveglia. Un’isola del Pacifico, spiaggia con palme, luce e aria di vacanze. Lei si offre di comprare i regali per i figli di lui. Esce. Mattina radiosa. Banchetti del mercato, una bambina con cui parla… Quando improvvisamente, lui dalla finestra dell’hotel, lei dalla fila dei banchetti lungo la strada, vedono il sopraggiungere d’una ondata gigantesca -lo tsunami- che, terrificante, travolge come fuscelli oggetti, alberi, case, persone.
Clint Eastwood è abilissimo a visualizzare il senso terribile della tragedia attraverso un’alternarsi di oggettive-soggettive: la devastazione terribile e lo sballottamento della donna dentro e fuori la violenza delle acque e l’emergere di stati visionari allucinatori. Ombre senza volto che cercano di comunicare, che prefigureranno, poi, per la protagonista, la sensazione di aver avuto un rapporto con l’al di là.
Hereafter si svilupperà poi su tre storie alternate, che alla fine si intrecceranno: la giornalista televisiva, che, sconvolta, si prenderà una pausa per scrivere un libro su Mitterrand, che in corso d’opera diventerà invece una riflessione su questa esperienza; un operaio sensitivo che ha il dono, attraverso il semplice contatto delle mani, di stabilire rapporti con persone defunte, ma che, da questa possibilità, è angosciato; e un ragazzino a cui muore il fratello gemello, a cui era legatissimo, e di cui cerca disperatamente di riesumare il contatto.
Il film ha suscitato dibattito per il tema suggestivo e particolarmente sentito in una società opulenta, dove il desiderio di giovinezza è forte e l’angoscia della morte pure.
Clint Eastwood è come sempre bravo nel costruire una storia, nel creare tensione, nel dirigere la macchina da presa, nell’uso dei montaggi. Ma Hereafter è un film con una scrittura modesta e per giunta “furba”, che rappresenta in modo banale un tema che altri registi, si pensi a Bergman o Tarkovski, Dreyer e Murnau, hanno risolto con ben altra complessità.
Perché banale?
Perché dietro questa ossessione non c’è alcuna ambiguità. Clint Eastwood e lo sceneggiatore, Peter Morgan, credono a questi poteri, non ci sono contrasti e non hanno dubbi.
Ora, di fronte ad un interrogativo sconvolgente come può essere cosa ci sia dopo la morte, qualsiasi risposta religiosa non può non entrare in contrasto con la nostra impossibilità intellettiva e sensitiva di percepirla. Ed invece il film è costruito in modo lineare, in cui tutto magicamente appare credibile con un lieto, improbabile e furbesco lieto fine, che gratifica le aspettative dello spettatore, lasciando la dolce sensazione – i protagonisti sono anche giovani e belli- del “vissero felici e contenti”.
Soprattutto, al di là di quello, come giustamente osserva Goffredo Fofi “non è che aver affrontato la morte e il mistero (…) renda i protagonisti migliori degli altri in mezzo ai quali si confondono, non è che il contratto con i morti e con la morte li spinga a dare un senso al loro passaggio sulla terra”(1).
Che poi ci siano dei critici che gridano al capolavoro è una costante per un regista spesso sopravvalutato.
1. da L’unità, 18 gennaio 2011
HEREAFTER
REGIA: Clint Eastwood
SCENEGGIATURA: Peter Morgan
ATTORI: Matt Damon, Cécile de France, Bryce Dallas Howard, Jay Mohr, Mylène Jampanoï, Thierry Neuvic, Richard Kind, Jenifer Lewis, Steve Schirripa, Lyndsey Marshal, Marthe Keller, Niamh Cusack, Nikki Harrup, Fileena Bahris, Charlie Holliday, Kelli Shane, John Nielsen, Annette Georgiou, Jack Bence, Frankie McLaren
FOTOGRAFIA: Tom Stern
MONTAGGIO: Joel Cox, Gary Roach
PRODUZIONE: The Kennedy/Marshall Company, Malpaso Productions, Road Rebel
DISTRIBUZIONE: Warner Bros. Pictures Italia
PAESE: USA 2010
DURATA: 129 Min
Un film che mi è rimasto addosso e che – come dice chi mi precede – mi ha lasciato la voglia di approfondire, di interrogarmi, di fare esperienze. Un film che definirei “asciutto” nel senso che non è mai scaduto nel magico o nell’esoterico facile tentazione.
Un film “moralmente” BELLO perchè mette l’accento sulle RELAZIONI tra gli esseri umani che:
a volte vivono assieme ma sono distanti (vedi la giornalista ed il suo amante, il sensitivo e suo fratello, la famiglia di affidamento del bambino…)
altre volte invece anche se morti – preferirei dire viventi in altra dimensione – sono molto più vicini e riescono a trasmettersi affetti ed emozioni.
Non si tratta di dare risposte religiose ad una questione che avrà risposte soltanto personali ed interiori ma si tratta bensì di riuscire a LASCIARSI ANDARE A… senza giudizi e soprattutto senza pre-giudizi, ma capisco che MOLLARE le proprie certezze per “TRASCENDERE” le possibilità intellettive non è cosa che tutti oggi sono disposti a fare.
concordo pienamente con le osservazioni e le argomentazioni espresse nella recensione
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Stefano said,
Gennaio 24, 2011 @ 20:09Il film l’ho visto proprio ier sera e m’è piaciuto molto. Il taglio su cui fa perno la sceneggiatura è questo “osservare” la situazione sia dal punto di vista soggettivo ed emozionale, sia da quello più oggettivo e razionale. Non sono d’accordo sulla sbandierata impossibilità intellettiva e sensitiva di percepire il “dopo”. Non è solo appannaggio delle religioni e dell’ambito spirituale poter disquisire su questa tematica, anche la scienza, la fisica quantistica, gli studi che mettono in relazione le capacità cognitive e le emozioni, stanno arrivando a far dei passi da giganti. Il merito di Clint Eastwood è quello di far riflettere le persone, non di buttare là una storia originale o peggio ancora di mettersi nei panni del professore e spiegare che…. Sono uscito dal cinema non con una verità in mano ma con il piacere di pormi delle domande nuove, di ribaltare la prospettiva del mio sguardo. Questo non è cinema in quanto abilità di gestire la tecnica, è arte in quanto propone relazioni tra le persone, tra la sfera emotiva e razionale.
Applausi