di Nino Muzzi
Sono stati tirati fuori i grandi ascendenti, le fonti imprescindibili, i film di Leone, di Ford, di Hawks, i remake dei remake, ma tutto questo non serve per capire l’operazione filmica che sta dietro Appaloosa di Ed Harris. Anzi serve proprio al contrario: ad allontanarsi dall’obiettivo. In effetti ogni richiamo ai grandi del passato contribuisce in qualche modo all’ampliamento del mito. Qui, invece, siamo di fronte all’operazione inversa: al denudamento del mito o anche, se vogliamo, alla morte dell’ epopea.
Qui sta tutto il valore del film. La scelta di attori vecchiotti e di una donna bruttina, che non sa neppure suonare il pianoforte da saloon, stanno lì a dimostrare questo assunto.
Quindi, mentre da un lato la banda del ranchero Randall Bragg (Irons) ricalca un cinema formale e falso, e fa effettivamente pensare a Sergio Leone, dall’altra i due sbandati ex-tutto, che s’inseriscono nella vicenda a far giustizia come due sgangherati angeli wim-wendersiani, sono “veri”. E anche la donna è vera nella sua mancanza di avvenenza fisica, nella sua incertezza femminea, nel suo essere anch’essa una ex (si tratta di una vedova). Donna vera anche quando mente, Allison French (Renée Zellweger), donna di cui non puoi non innamorarti, se sei un angelo protettivo, anche se un po’ eccessivamente collerico, come Virgil Cole (Harris), sceriffo e tiranno.
Ma lo sceriffo crudo e talvolta inutilmente crudele vive affiancato dal suo vice Everett Hitch (Mortensen), una guardia silenziosa. Il suo simbolo è il fucile, il suo ruolo è evidente: far sì che la storia si svolga su binari giusti. D’altronde la voce narrante è la sua e questo significa che lui già fin dall’inizio è capace di prendere le distanze, capace di “narrare”. Riveste anche un altro ruolo: quello di realistico supporto alle gesta di Virgil Cole, che, impulsivo com’è, può anche (donchisciottescamente) trovarsi senza cavallo, coi piedi semitumefatti a mollo in un fiumiciattolo. Il buon, saggio Sancho Panza gli porgerà sempre il supporto di un fucile e di un cavallo. Questa guardia sta sempre sul limitare di qualcosa, osserva ed è pronto ad intervenire, salvo una volta…
Alla fine del villaggio sta nascendo una casa: Virgil Cole costruisce il suo primo vero nido d’amore assieme ad Allison. La casa è solo uno scheletro di legname, ma c’è un ingresso, delle stanze, delle finestre, una staccionata di confine: tutto disegnato con assi di legno. Il vice entra pudicamente in casa, chiedendo permesso, e appoggia il fucile allo stipite di una porta inesistente. Il pubblico si aspetta che questo gesto, insolito per lui, di abbassare la guardia, preluda ad un qualche agguato nemico, da cui non potrà difendersi, e scruta l’orizzonte, aspettando che spunti la minacciosa silouhette di un qualche bandito assoldato dal ranchero “leonescamente” cattivo. Niente di tutto ciò: la minaccia viene da vicino e dall’interno della casa. La donna dello sceriffo cerca di sedurlo. Scena sapientemente strutturata con poche mosse e poco dialogo. La donna gli mostra il paesaggio e mentre lui lo guarda dalla finestra (dallo “scheletro” di una finestra) lei gli s’inserisce davanti di spalle, gli prende le mani e se le cinge intorno alla vita, realizzando così un “quadro” vivente classico per il cinema western, quindi si volta lentamente su se stessa e si ritrova sotto le labbra sigillate del vice-sceriffo verso le quali lei tende le sue fino a congiungervele in un bacio. Ambiguissimo bacio, in quanto lui si ritira un istante dopo, pentito, e lei, femminilmente offesa dal suo rifiuto, lo caccia di casa, e il pubblico sa già che medita vendetta.
Da questa crepa nel tessuto narrativo inizia il disfacimento di tutto quanto era stato ordito fino a quel momento e tutto prende un carattere ambiguo e minaccioso: non ci si può fidare più della donna. A questo punto si fa ancora più chiara e più “vera” la vicenda nella sua dimensione economica: chi comanda economicamente nella piccola cittadina si sentiva minacciato ed ha chiamato lo sceriffo “duro” in propria difesa, ma se, per caso, Bragg, il ranchero cattivo, riesce a spuntarla sul piano della Giustizia, a non farsi condannare grazie ad amicizie politiche in alto loco, allora diventa un cittadino onorabile che offre alla comunità garanzie di tranquillità e alla donna una sponda più sicura.
La mano di Bragg accarezza, regalmente, la nuca della pianista, mentre il povero Cole cammina arrancando su una gamba di legno e la vigile coscienza di Everett distilla con lo sguardo momento per momento la caduta sociale in cui è implicato con lo sceriffo zoppo e reso cieco dall’amore che gli fa accettare ogni sconfitta.
Tutto ciò può condurre fino alla rovina definitiva dei due protagonisti che la comunità comincia lentamente a sfiduciare perchè stanno collezionando sconfitte su sconfitte sia sul piano della giustizia che su quello della pistola. Il gesto finale del vice, di nuovo “narrante” , riaggiusta con un colpo da pistolero quello che la Giustizia non era riuscita a fare.
Quindi la verità ultima sta nel colpo di pistola, e questo è western autentico che vede riunite nel pistolero, come in un grande ossimoro, la figura del bandito e quella del giustiziere. E ora il mondo, ritornato perbenista, emetterà una taglia sulla sua testa.
Appaloosa
Regia: Ed Harris
Cast: Viggo Mortensen, Ed Harris, Jeremy Irons, Renée Zellweger, Timothy V. Murphy, Luce Rains, Boyd Kestner, James Tarwater, Cerris Morgan-Moyer, Gabriel Marantz
Nazione: U.S.A.
Anno: 2008
Durata: 114’
Sito ufficiale: www.welcometoappaloosa.com