“VENEZIA 67: Appunti sparsi in mezzo al viaggio” di Vittorio Toschi

Sala-Grande-Palazzo-del-CinemaC’è una ferita aperta sul Festival del cinema di Venezia: un enorme cantiere proprio davanti al Palazzo Casinò, che si è mangiato il vecchio Garden (Stand, tendoni, bar, da sempre meta dei cinefili in passaggio tra una proiezione e l’altra) e l’ha compresso e relegato, schiacciato sul canale che passa dietro al Palazzo del Cinema. Una ferita che sta creando confusione e difficoltà negli spostamenti e, soprattutto, ha prepotentemente introdotto il “brutto” in una manifestazione d’arte. Visto dall’alto, poi, sbirciato da sopra i pannelli che ne vorrebbero impedire la vista, lo spettacolo è ancora più triste: nel terreno solo un grande buco che crea l’istintivo terrore di un lungo tempo ancora da passare prima della fine. Lì dovrebbe sorgere, speriamo e speriamo presto, il nuovo Palazzo del Cinema; sarà, dicono, bello, grande e funzionale, ma al momento è solo un gigante disarmato e disarmante, un pachiderma assonnato sembra non avere alcuna intenzione di spostarsi.

Sessantasettesima Mostra del Cinema di Venezia: per me il Lido ha sempre avuto un fascino molto particolare, di una misurata decadenza. Gli apparentemente sconfusionati movimenti degli accreditati (e non) mi hanno sempre affascinato fin dal mio primo festival vissuto tra lo stupore e l’eccitazione. Le sale grandi ma non troppo, quelle piccole e quelle piccolissime, le code sempre e dovunque, i fogli e dépliant sparsi su ogni superficie, il programma indecifrabile e gli indispensabili daily (pubblicazioni quotidiane con veloci recensioni dei film del giorno), gli inviti, ma anche le informazioni, introvabili per le feste dei film (sempre mitiche fino a quando si riesce ad entrare …), gli attori ed i registi in giro, in sala, in spiaggia, insomma il tutto mi sembrò da subito un caos adatto a me.

E anche per questo 2010 il Festival continua ad avere un fascino caleidoscopico che rimane più forte delle difficoltà nel trovare posto per dormire al Lido, dell’impresa di reperire il pass o biglietti, ma ancor prima di orientarsi nell’oceano di regole (che dovrebbero regolare ma sembrano fatte per complicare) gli ingressi alle proiezione, della difficoltà di reperire un pasto diverso da panini e tramezzini, comunque sempre costosissimi, e per ultimo anche della proverbiale mancanza di gentilezza di buona parte del personale del Festival.

La scelta dei film a volte è ben ponderata, altre più estemporanea, altre ancora dettata esclusivamente dal caso o dall’aver “rimbalzato” alla proiezione scelta. Ed è proprio in circostanze come quest’ultima che può capitare di imbattersi in lavori originali ed emozionanti, consapevoli che molto probabilmente non verranno distribuiti e che averli incontrati nel nostro cammino è stato un privilegio. Altre volte capita, invece, di imbattersi in film lenti e insignificanti, ma comunque alla fine si rimane con la piacevole sensazione di aver viaggiato, quasi come pionieri, in territori poco esplorati. E anche per questo anno dove, a differenza del passato, mi sono concentrato di più sui film della sezione ufficiale, mi piace l’idea che le poche grandi produzioni cinematografiche (che hanno già scritto un futuro di successo nelle sale) vengano al festival accerchiate da una maggioranza di film diversi, dai ritmi insoliti e caratterizzati dalla voglia di sperimentare.

Da due o tre anni anche la crisi economica è entrata nel Festival. Meno persone in giro (ad esclusione del fine settimana), meno glamour e party, qualche cartellone pubblicitario non riempito, persino gli incredibilmente prezzi pazzi del Festival paiono essersi fermati (ad esclusione dell’Excelsior dove ho pagato quattro euro per un caffè al banco). La febbre di cinema, però, quella no, quella non è stata toccata dalla crisi e rimane per fortuna ancora alta.


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