di Luca Peretti
Venezia Venezia Venezia. Se ne parla tanto, e tendenzialmente a sproposito, prima dopo e durante la Mostra. Durante, soprattutto, quest’anno tutti impegnati a dire che era un festival “sottotono”. Ma sottotono perché? Sottotono perché nel retro del casinò sono attraccati meno divi del solito? O perché i capolavori visti in concorso, fuori concorso e nelle varie sezioni collaterali portavano la firma di sconosciuti (ai più) autori terzomondisti e/o indipendenti e/o a loro modo rivoluzionari, invece dei pesanti nomi di autori hollywoodiani e via dicendo? O forse, e più probabilmente, perché molti dei “giornalisti” italiani al Lido passano il loro tempo fuori dal cinema, e quando vi entrano lo fanno solo per i titoli in concorso.
Eppure, tanto per buttare subito giù le carte, i grandi film non erano assenti: tra gli altri, Teza di Gerima, giustamente premiato qua e là, Puccini e la fanciulla del “nostro” Benvenuti (si veda recensione in questo numero), A erva do rato, del maestro Bressane, e poi il grandissimo Naderi con il suo Vegas – based on a true story, e potremo andare avanti molto. Insomma, la prima cosa da notare è che i film buoni ci sono, solo che se non li si vogliono vedere, non li si vede. Certo, nel concorso, erano ben nascosti da polpettoni proto revisionisti come il film di Avati Il papà di Giovanna ed altri italiani non all’altezza della situazione.
Le due sezioni “esterne” invece, Giornate degli autori e Settimana della critica, riservano sempre delle piacevoli sorprese, un cinema fuori dagli schemi, anticonvenzionale, qua e là si vedono davvero opere in grado di affascinare. Arriva dalla Settimana un film italiano poi giustamente sbarcato in sala, Pranzo di ferragosto, mentre nelle Giornate abbiamo visto, tra gli altri, il francese Stella e l’inglese Broken Line.
Forse, a voler essere pignoli, qualche appunto si può fare sulla retrospettiva.
Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946 – 1975) è stata sicuramente un’occasione per vedere film realmente misconosciuti, dimenticati, messi in soffitta. Ma, l’unico filo che li legava, era proprio questo: sembrava, insomma, più uno svuota archivio che una retrospettiva.
Sono dettagli, i problemi sono altri. Il più grande è forse l’età media: difficile vedere un futuro radioso per un festival di cinema nel quale sono quasi del tutto assenti i giovani. La colpa non è solo loro (dei suddetti giovani), forse il fatto che l’unico campeggio sia dall’altra parte del Lido e che non vi siano altri alloggi economici scoraggia non poco. Per non parlare, si capisce, di quanto costi comprare cibo e bevande. Ma questo, si sa, è un problema generale, quello dell’organizzazione e dei prezzi.
Anche dei biglietti, il che impedisce una reale ed alta fruizione della Mostra non solo ai giovani, ma anche al pubblico in generale. Questo non fa che atrofizzare la Mostra, facendola diventare uno statico cenacolo di critici (o presunti tali), addetti ai lavori, e via dicendo.
Eppure, 3 settimane prima, a cinque ore di treno più in là, si svolge un festival internazionale sempre pieno di giovani, dove un abbonamento studenti costa solo 70€ e ci sono strutture in grado di offrire ospitalità a prezzi contenuti. È davvero troppo lontano Locarno? (per la cronaca, il nuovo-futuro direttore artistico del festival di Locarno, Olivier Père, ha 37 anni…)