di Gianni Quilici
La prima parte è decisamente riuscita: realistica e asciutta, aperta e disperata.
L’inizio: inquadratura fissa sul volto della donna (Alexandra Lamy): bionda e carina, ma col viso scarmigliato, la testa bassa, la voce incerta, che, davanti a un’assistente sociale fuori campo, confessa che non ce la fa più ad andare avanti, che ha una figlia di sette anni ed un neonato difficile che piange sempre, che il padre del piccolo l’ha abbandonata, che ha perso il lavoro di fabbrica e non ha soldi per pagare l’affitto.
Un salto indietro a “qualche mese prima”: la fatica della donna ad alzarsi la mattina, la bimba da portare velocemente in motoretta a scuola, la catena di montaggio in fabbrica, l’adocchiamento a mensa di un operaio, l’attrazione sessuale immediata, l’operaio che va a vivere con lei, la nascita del figlio, Ricky, la felicità e le gelosie, le incombenze e la fatica, fino alla scoperta da parte della donna di due strani lividi blu sulle scapole del bimbo, l’accusa di averlo picchiato all’uomo e lui che se ne va bruscamente, gettando per terra le chiavi di casa….
Sembra di essere entrati in un film, come diversi hanno scritto, di Ken Loach: recitazione e volti, tematiche e ambienti, luce e stile molto lo ricorda.
François Ozon qui è assai efficace: un linguaggio veloce ed essenziale, che scolpisce il prima, durante e dopo con sequenze brevi e necessarie, l’evidenza di una forte fisicità e uno straordinario ritratto: la bimba (Melusine Mayance) che guarda con occhi innocenti e attenti come se capisse, suo malgrado, tutto.
Da questo momento il regista cambia improvvisamente registro e vira decisamente verso una favola, che dapprima può apparire come horror perturbante (tipo Rosemary’s Baby), ed invece diventa un inno surreale meraviglioso ed ambiguo (si presta a più di una lettura) della libertà.
Ozon non ha, però, la forza di dare al miracolo del “bambino che vola chissà dove” la potenza metaforica che esso potrebbe contenere, perché da un lato risolve facilmente la crisi-senso di colpa devastante della donna; dall’altra aggiusta “banalmente” il ritorno a casa dell’uomo con un finale gratificante per lo spettatore.
Rimane tuttavia la leggerezza ordinaria e naturale con cui il regista francese tratta una materia, la metamorfosi, di per sé straordinaria e soprannaturale, quindi delicata e difficile da rappresentare.
Regia: François Ozon
Sceneggiatura: François Ozon, Emmanuèle Bernheim
Attori: Alexandra Lamy, Sergi Lopez, André Wilms, Mélusine Mayance, Arthur Peyret, Jean-Claude Bolle Redat, Julien Haurant, Eric Forterre, Hakim Romatif, John Arnold, Marilyne Even
Fotografia: Jeanne Lapoirie
Montaggio: Muriel Breton
Musiche: Philippe Rombi
Distribuzione: Teodora Film
Paese: Francia 2008
Durata: 90 Min