UN RACCONTO SULL’ARTE E IL PRIVATO DEL PITTORE SPAGNOLO IN CUI FA DA GUIDA L’ATTRICE IRANIANA MINA KAVANI CHE METTE IN PARALLELO LA SUA VITA DI ESULE CON QUELLA DI PICASSO AL TEMPO DELLA DITTATURA DI FRANCO.
di Mimmo Mastrangelo
Mina Kavani è un’attrice iraniana che ha un volto e uno sguardo che bucano lo schermo, lo scorso anno l’abbiamo vista ne Gli orsi non esistono, ennesimo film di resistenza del regista-dissidente al regime degli ayatollah Jafar Panahi. La Kavani da un pò anni si è trasferita a Parigi per “inseguire il sogno di recitare” ed essere una donna libera. Come Pablo Picasso (Malaga 1881- Mougins 1973) – che durante il franchismo non poté mettere piedi nel suo Paese – così oggi l’attrice se tornasse in Iran verrebbe perseguitata e chiusa in qualche carcere-lager.
Probabilmente per questo uguale destinato da esule che l’attrice è stata scelta dalla regista Simona Risi a fare da guida in Picasso, un ribelle a Parigi: storia di una vita e di un museo, docu-film sul legame che l’artista istaurò con la “ville-Lumière” dove approdò per la prima volta a vent’anni con un bagaglio povero che conteneva dei colori e un pennello e il sogno di diventare nell’arte il più bravo di tutti.
Come Picasso “ Io so – dice la Kavani nel film – cosa vuol dire partire da lontano, da un altro mondo, da un altro luogo e trovarsi in questa città, il posto delle idee, delle possibilità, lui come pittore, oggi io come attrice…”. Nelle sale ancora per qualche giorno (poi passerà sul circuito Netflix) e prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, il film è stato realizzato per il cinquantenario della morte dell’artista.
Rivoluzionario, anarchico, irrequieto, contraddittorio, Pablo Picasso è stato quell’ Arlecchino (il suo alter ego sulle tele) senza patria e sempre in viaggio. A Parigi diventò una star, ma già prima dell’inizio della prima guerra mondiale il suo nome era conosciuto persino oltreoceano. Altre voci (di addetti ai lavori) nel film ci ricordano della sua movimentata vita, dei continui cambiamenti che la connotarono, mentre un’inesauribile ed instancabile creatività lo porteranno continuamente a sperimentare nuovi codici dell’arte, fino ad approdare col cubismo alla destrutturazione della forma e alla frantumazione delle regole sulla prospettiva.
Per lui dipingere non fu mai un’operazione estetica, ma “una forma di magia intesa a compiere un’opera di mediazione fra noi e un mondo estraneo e ostile “. Il docu-film non è solo un racconto sul genio, sulle amicizie parigine, sui fratelli Stein suoi mecenati, ma altresì un focus sul rapporto che ebbe con le sue compagne (che amò spassionatamente sebbene le tiranneggiasse) e sul museo di Parigi che porta il suo nome, aperto a metà degli anni ottanta in un maestoso palazzo del seicento. Picasso, che era il miglior collezionista di se stesso e non amava disfarsi dei suoi lavori, una volta disse: “Datemi un museo e ve lo riempirò”