RESTAURATO “DONNE SENZA NOME” DEL GRANDE REGISTA UNGHERESE GEZA VON RADVANYI CON GINO CERVI E VALENTINA CORTESE
di Mimmo Mastrangelo
Puntualmente viene ricordato come uno dei fratelli di Sandor Marai (Kosice 1900- San Diego California1989), il più grande scrittore ungherese del novecento, ma a Géza von Radvanyi (Kassa 1907- Budapest 1986) bisogna riconoscere il merito di aver portato in alto la bandiera del cinema del suo Paese e realizzato film, sebbene con risultati alterni, in diversi Paesi europei, Italia compresa.
Nel 1949 Radvanyi girò Donne senza nome nella “Casa rossa” di Alberobello, una scuola di agraria fondata a fine ottocento dal sacerdote Francesco Gigante, collocata poco fuori dall’ abitato dei trulli, venne trasformata in un lager per ebrei e dissidenti politici durante la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi al conflitto in un luogo di detenzione per donne “indesiderate” (proveniente specialmente dai Paesi dell’est Europa).
La pellicola è passata l’ultima volta su uno schermo nel 2009 al Festival di Venezia nella retrospettiva “Questi fantasmi” curata da Tatti Sanguineti , ora, dopo un recente restauro, la ritroviamo in formato dvd nella collana Ripley’s Home Video accompagnata da una nota storica del critico Emiliano Morreale .
Ispirato ad un’ inchiesta giornalistica del 1947 di Corrado Alvaro (che poi lavorerà alla scrittura del film insieme a Liana Ferri) sulle detenute della succitata “Casa Rossa”, “Donne senza nome” rientra tra quei lavori neorealisti che nel tempo sono rimasti nell’ombra a differenza di quelli più noti firmati da Visconti, Rossellini, De Sica, De Santis.
La trama si sviluppa intorno ad una giovane donna jugoslava che – trovata senza documenti sul molo di Trieste mentre aspetta il ritorno del marito dalla prigionia di guerra – viene internata nel campo pugliese. La donna incinta, non vorrebbe che il figlio nascesse in quel luogo abietto e, quindi, con l’aiuto delle altre detenute farà di tutto per scappare prima di partorire, ma il tentativo di fuga di Anna (questo il nome della donna interpretata da una giovanissima Valentina Cortese) avrà per lei esiti tragici, mentre altro sarà il destino del neonato che verrà adottato da un appuntato dei carabinieri rimasto vedovo (Gino Cervi).
Censurato dall’Ufficio Centrale per la Cinematografia per le atmosfere ritenute “torbide, ossessionate, morbose”, il film non ebbe fortuna al botteghino ed anche la critica si accanì contro bollando carente il ritmo e forzata la drammaticità.
Vederlo ora “Donne senza nome” non si può sottovalutarne la realistica fotografia dell’ungherese Gabor Pogany, le musiche di un emergente Roman Vlad (diverrà un compositore musicologo di fama internazionale) e le delicate tematiche che tocca a margine della vicenda principale (pacifismo, nuovo umanesimo, politica sovvertita nelle sue finalità…).
Non si può, inoltre, non rimanere impressionati di fronte al ventaglio di attori che vi lavorano: con i già citati Gino Cervi e Valentina Cortese, nel cast sono presenti celebrità del calibro di Simone Simon, Irasema Dilian, Françoise Rosay, Fausto Tozzi, Gina Falckenberg, Vivi Gioi, Lamberto Maggiorani. Non è dato sapere come finì nel vestire i panni di un ufficiale americano Otto Wachter, un criminale nazista ricercato all’epoca in tutt’Europa e trovato morto in circostanze misteriose poco prima dell’uscita del film nelle sale.