IL TEMPO NECESSARIO DELLA SPERANZA-IL CINEMA DI MARKUS IMHOOF” di Mimmo Mastrangelo


OMAGGIO AL GRANDE REGISTA SVIZZERO MARKUS IMHOFF
di Mimmo Mastrangelo

        Bisogna plaudire la Fondazione Maria Adriana Prolo nell’aver voluto consegnare lo scorso dicembre a Markus Imhoff il premio che porta il nome della fondatrice del Museo Nazionale del Cinema di Torino.

       Lo stesso attestato si deve riconoscere alla redazione di “Mondo Niovo” avendo dedicato all’ottantunenne e grande regista elvetico l’ultima uscita della rivista con la monografia “Il tempo necessario della speranza”.

      Come nei film di un altro rappresentante del “nuovo cinema svizzero”, Alain Tanner (1929-2022), anche in quelli di Imhoof ritroviamo quelle spinte che scuotono la coscienza critica di una nazione ammuffita sotto la cortina ideologica della cosiddetta “neutralità storica”. Con sguardo severo e prosciugato da orpelli formali, sul trittico “neutralità- indifferenza-discriminazione” Imhoof ha elaborato una scrittura cinematografica fuori dai luoghi comuni.

       Si pensi a quel piccolo capolavoro che è “La barca è piena” girato quarantadue anni fa, Orso d’Argento al Festival di Berlino e nomination all’Oscar come miglior pellicola straniera. Il film è la storia di cinque ebrei e un disertore che durante la seconda guerra mondiale scappano da un treno che li sta portando in campo di concentramento e riparano in Svizzera, dove, però, saranno riconsegnati ai tedeschi. Il visto di rifugiati verrà loro negato a causa delle rigide leggi sull’accoglienza. Ordinato su episodi storici e ricerca da archivi, “La barca è piena” (che è una nota espressione coniata dal consigliere federale Eduard von Steiger per dire che la Svizzera non avrebbe accolgo masse di esuli in fuga) è una cruda condanna all’ impassibilità e alla freddezza degli elvetici nei confronti di chi al tempo era perseguitato dai nazisti.

       Di indifferenza verso i nuovi flussi migratori, invece, narra l’ultimo docu-film “Eldorado” (2018): qui Imhoof, sul ricordo di una ragazzina che era stata accolta dalla sua famiglia durante l’ultimo conflitto mondiale, porta la macchina da presa su una delle navi (nobili) delle operazioni Mare Nostrum e lascia che il passato, specchiandosi nel presente, svolga il compito di < >.

      Articolato tra ricerca dell’essenziale e tempo della speranza, tra realismo ed utopia, tra documentario e fiction, il cinema di Imhoof ha portato allo scoperto anche altre importanti tematiche: in “Rondo” (1968) viene analizzato l’effetto che può avere sui detenuti la condizione chiusa di un penitenziario; con “Isewixer (1979) innalzando un inno di libertà si denuncia l’angustia sui ceti più deboli del modello capitalistico, mentre in “Un mondo in pericolo” (2012) l’attacco scriteriato ed incontrollato all’ecosistema viene indagato attraverso il rischio della scomparsa delle api.

       Oltre ad una lunga intervista al regista svizzero a cura di Valentina Noya e Vittorio Sclaverani, le pagine de “Il tempo necessario della speranza” raccolgono pregevoli testimonianze tra cui quella di Marco Tullio Giordana ( a metà degli anni ottanta con Imhoff doveva girare il film “Il treno” ispirato ad uno scritto di Enzo Bettiza ma poi non se ne fece niente) e del regista e produttore svizzero Stefan Jager il quale evidenzia: < < I film di Imhoff metteranno noi e le generazioni a venire di fronte al significato della vita e al ruolo che svolgiamo sul nostro fragile pianeta>>. Invece il direttore di “Mondo Niovo”, Davide Mazzocco, nella prefazione riporta:<Uno sguardo alla sua opera  rende superflua l’aggiunta di specificazioni  o aggettivi alla parola cinema, come accade per molti grandi autori >>.


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