“Vecchio” di Dino Lopardo

ULTIMO LAVORO CON DINO LOPARDO CON UN MAGNIFICO LEO GULLOTTA.

di Mimmo Mastrangelo

        In attesa della visita dei parenti, un anziano signore (Leo Gullotta) sta dietro ad una finestra con gli occhi rivolti verso il basso del cortile della Rsa in cui vive da quando è morta la moglie.

      Uno stacco veloce della camera da presa e il vecchio lo ritroviamo davanti ad uno specchio della toilette dove la luce persa dei suoi occhi si coniuga a dei gesti rituali del proprio quotidiano ( tirare fuori da uno scatolo il rasoio, pettinarsi la folta ed argentea capigliatura, spruzzarsi della acqua di colonia da una confezione ormai svuotata)….

       Sono le prime sequenze del cortometraggio di Dino Lopardo Vecchio (2022) che è stato da poco presentato all’ultima edizione del Festival Marateale di Maratea e premiato alla quarta edizione della rassegna romana Corti di Lunga vita.

        Gillo Pontecorvo diceva che <<il cinema deve raccontare il disagio della condizione umana con una sorta di poetica che metta insieme tenerezza e pietà>>,  appunto sulla scia delle parole del regista dei capolavori Kapò e La battaglia di Algeri, procede il breve lavoro di Dino Lopardo. Il quale aprendo uno spiraglio di luce su un’ esistenza che sta per avvicinarsi al capolinea, segue un modus operandi della filmicità in bilico tra lirismo e realismo sociale.

        Leo Gullotta è semplicemente magnifico per come riesce entrare nella parte del personaggio, meglio nei panni di un uomo per il quale tutto quel residuo di microuniverso che si muove ormai intorno lui è avvertito nel rumore di fondo di quella che può essere esclusivamente una disincantata commedia dell’esistere.

       La visita per il suo compleanno della figlia, del genero e dei due nipoti appare solo come l’obbligo di un atto di routine (senza più trasporto di emozioni) e da consumarsi al più presto possibile.

        La poesia del film sta tutta nella trovata del regista di incolonnare dei gesti minimi, nel far rivivere all’anziano signore il piacere di spruzzarsi addosso il profumo che gli hanno regalato i parenti o, magari, di donare simbolicamente allo spettatore una rosa come un conclusivo e generoso atto della propria esistenza.

        Un congedo dallo schermo (e dalla vita) questo del Vecchio incarnato da Leo Gullotta dai contorni dolenti in cui, tuttavia, il cinema sembra suggerirci un risvolto di fiducia: la continuazione (eventuale) di una vita oltre la vita.

       Prodotto dallo stesso giovane regista insieme alla Patroclo Film, Vecchio è una scrittura elegiaca per un eccellente prova d’attore, racchiude tutte le qualità di un piccolo film che respira di atmosfere e di una impalpabile tensione oltre dello splendore della fotografia in bianco e nero di Emanuele Pasquet.

        Unica nota poco lieta potrebbe riguardare per il film la difficoltà di entrare nella circuitazione delle sale, ma ciò è un problema che tocca tutto il cinema a formato breve, il quale non riuscendo ad arrivare ad una larga fetta di pubblico anche attraverso la distribuzione nelle sale viene destinato, il più delle volte, alla polvere dei depositi. Come un tesoro dormiente.


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