“Ugo Marano: ego sum liber” di Licio Esposito

di Mimmo Mastrangelo

        Aveva Ugo Marano l’eccezionale dote di saper cogliere la preziosità persino nelle cose più insignificanti. Apparteneva alla corte dei gentili, elargiva blandizie con ogni parola, abbraccio o gesto creativo. Inoltre, sapeva guardare lontano e, dunque, soltanto lui poteva strappare la ceramica da uno stato di subalternità ed erigerla sul piedistallo di “arte regina”. Con Marano la ceramica ha volato lontano come hanno veleggiato oltre ogni orizzonte le sue idee, le sue utopie, i suoi mille progetti pensati e portati a termine.

       Un uomo, un artista libero è stato come si può vedere in “Ugo Marano: ego sum liber” (2021), il bellissimo docu-film che il regista salernitano Licio Esposito ha girato seguendo lo sguardo, i movimenti lenti, le pause, il racconto della moglie Stefania Mazzola.

        Un racconto di una vita a partire da quando Ugo e Stefania si incontrarono al Laboratorio Rifa del maestro Matteo Rispoli a Molina di Vietri sul Mare e poco dopo si sposarono festeggiando tra i fuochi d’artificio della festa patronale di Cetara, dove il ceramista nacque e vi ha sempre vissuto in una abitazione a filo della strada ed incastonata nella roccia .

         Alto, bello come un Apollo, Ugo Marano è stato “l’artista-radical-concettuale-utopico” che applicava ad ogni creazione, anche la più minuta, una sua filosofia di vita. Nel docu-film Stefania Mazzola apre l’album dei ricordi, ripercorre con intensa partecipazione alcune delle tappe principali del cammino artistico-esistenziale del compagno.

         A partire dalla storica mostra del 1968 ad Amalfi, “Arte povera più azioni povere”, ideata da Germano Celan e Marcello Rumma come gesto di protesta politica contro la Biennale di Venezia e in cui il venticinquenne Marano presentava gli “Arruginibili”, lastre di ferro con dei tagli verticali profondi a cui si legava “il concetto di azione-natura-arte”, per cui l’opera una volta terminata veniva consegnata agli agenti atmosferici che la consumavano, lasciando solo nel ricordo l’impronta dell’ iniziale atto creativo.

          Poi ci sarà il periodo dell’anti-disegner con cui Marano esplorava nuove forme espressive e inventando arredi poetici in cui trovano, tra l’altro, sintesi il ferro e il mosaico (sua arte nella formazione giovanile).

        Degli ampi spazi della casa materna di Capriglia, Ugo ne fece un suo regno, un laboratorio d’eccezione dove, tra le tante iniziative, vi promosse “La Festa delle idee” per chiunque volesse esprimere liberamente il proprio immaginario e pensiero.

        A metà degli anni settanta fondò con Antonio Davide e Giuseppe Rescigno il “Gruppo Salerno 75” che si distinse per delle performance di contestazione sulle criticità urbane e non solo. In seguito arrivarono l’apertura del “Museo Vivo” di Cetara, e l’impegno nei borghi (e nei territori) del Parco del Cilento per tentare rifondare il rapporto con l’ambiente: “L’arte vera – diceva Marano – lotta, si scontra con la natura, ma l’ama…”.

        Di forte fermento creativo, inoltre, furono per Marano i momenti destinati alla lavorazione dei pannelli in pietra lavica per la stazione “Salvator Rosa” della metropolitana di Napoli, e degli stupendi vasi giganti presentati alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006.

         Prodotto dalla Cactus Film, il film di Licio Esposito è un campo espanso per ritrovare di Marano (che ci ha lasciati nel 2011) la poesia e la profezia oltre a quel suo gesto creativo pensato come atto d’amore, azione fondante e rivoluzionaria che perdura insistente, aggirando il tempo che passa.


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