di Mimmo Mastrangelo
Si vede nelle primissime sequenze un giovanissimo Michelangelo Pistoletto in saio indiano e con un fischietto in bocca che se ne va in giro per le strade di Amalfi annunciando un mondo senza guerre.
Invece Alighiero Boetti su una spiaggia della “divina costiera” spiega la sua installazione fatta con materiali di scarto, ma pensata sulla centralità del comportamento dell’artista.
Quindi negli spazi degli Arsenali amalfitani il critico Germano Celant (anche lui giovanissimo) commenta su un’ arte che si va liberando dalle norme prestabilite e dalle strutture del potere, un’arte che esce dal quadro e dai canonici luoghi della sua diffusione (gallerie, musei) per farsi “povera” creando un processo in cui l’azione dell’artista diventa preminente e più importante dell’opera stessa e dei materiale adoperati.
Sono immagini che si possono definire inedite della prima grande esposizione di “Arte Povera” che, in risposta alla contestazioni che c’erano state alla Biennale di Venezia, si tenne per tre giorni ad Amalfi nell’ottobre del 1968 , dando all’arte contemporanea un impulso ed un’ accelerazione per un nuovo corso che già da qualche anno aveva iniziato a prendere consistenza nel nostro Paese.
I frammenti filmici su quella storica mostra – curata da Germano Celant, ma ideata da Marcello Rumma, un giovane ed eccentrico intellettuale salernitano che si toglierà la vita due anni dopo – assumono un forte fascino (anche per la pulizia del bianco e nero) ne “La rivoluzione siamo noi” (2020) che la regista Ilaria Freccia ha girato su un soggetto curato insieme al critico e storico dell’arte Ludovico Pratesi.
Prodotto e distribuito dall’Istituto Luce Cinecittà e presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Torino, il docu-film è montato su una notevole quantità di materiali degli archivi e delle cineteche, nonché su testimonianze del presente e dell’epoca di artisti, critici, galleristi (tra gli altri Michelangelo Pistoletto, Achille Bonito Oliva, Marina Abramovic, Arrigo Boetti, Pino Pascali, Mario Merz, Lia Rumma, Lucio Amelio, Tucci Russo, Germano Celant, Joseph Beuys, Jannis Kounellis, Andy Warhol, Hermann Nitsch).
Ilaria Freccia rimonta la messinscena di un decennio in cui l’arte promossa in Italia conquista una risonanza internazionale ed intercetta i forti fermenti che investono pure teatro, cinema, musica. E’ un momento in cui l’arte viene vissuta e percepita come impegno civile, espressione delle trasformazioni politiche e sociali.
Per Pistoletto non ci sono giri di parole l’arte “è sempre politica”, invece per la gallerista Lia Rumma “ l’ arte non è politica, ma può esercitare un suo ruolo politico”, una funzione di intervento evidenziando con il proprio linguaggio le contraddizioni della realtà. “La rivoluzione siamo noi” (che riprende un motto di Beuys del 1971 e trasformato poi in manifesto dal gallerista napoletano Lucio Amelio ) è più in profondità una viaggio che da Venezia ad Amalfi si sposta, quindi, verso Torino, Roma, Milano e Napoli, le città che in quel decennio (1967-77) di grandi innovazioni la concettualizzazione di un’opera d’arte diventava pensiero, stimolo, mentre una performance di Pino Pascali, Marina Abramovic o Hermann Nitsch poteva coinvolgere nell’ azione lo stesso pubblico tale da renderlo non più spettatore, osservatore ma protagonista di un “nouveau realisme” in cui verificare costantemente il proprio grado di esistenza.
La rivoluzione siamo noi
di Ilaria Freccia.
Documentario, – Italia, 2020, durata 83 minuti.
distribuito da Cinecittà Luce.