di Gianni Quilici
Un film difficile. Perché Antonio Ligabue era un artista e un uomo complesso. Uno di quegli autori, a cui uno psichiatra o un filosofo esistenzialista potrebbe dedicarsi per scoprire cosa la sua vicenda umana nasconde. Un’impresa, quindi, difficile per un cineasta. Una sfida affascinante, che Giorgio Diritti è riuscito a vincere lasciando che Ligabue si rappresenti attraverso fatti e anche piccoli indizi, senza volerli spiegare.
L’inizio, illuminante, è soltanto un occhio che guarda e ci guarda nascosto dentro un sacco. Un uomo senza identità, un “nulla” che si nasconde, vorrebbe sparire. E’ questa condizione Giorgio Diritti l a tratteggia con grande acume cinematografico: un montaggio serrato di allucinazioni visive, di incubi ad occhi aperti, una scenografia magistrale nel ricostruire l’ambiente povero e cupo del paesino svizzero, in cui è stato abbandonato dalla madre. e poi quello solare dei cortili emiliani e delle sponde selvagge del Po’. La terribile infanzia del piccolo Ligabue (Oliver Ewy, bravissimo) respinto da tutti: il brutale disprezzo del maestro, i sorrisi persecutori e irridenti dei compagni di classe assumono una forza verosimile e insieme mostruosa. La prima parte: un capolavoro.
L’altro capolavoro è Elio Germano, sia nella dimensione del personaggio che nella sua interpretazione. Infatti Elio Germano (nel rapporto con Diritti ) ha saputo disegnarlo nella sua complessità e originalità. Il corpo sghembo, il volto teso, umiliato, ispirato, veemente; la gestualità energica e sgraziata, impacciata e animalesca; il linguaggio caotico, quasi incomprensibile, tra il tedesco e il dialetto emiliano; il carattere ingenuo e sprovveduto nella vita sociale, che un ambiente popolare falsamente bonario, sfrutta cinicamente, tanto da rimanere povero e solo; timidissimo con le donne, che invece desidera ardentemente. indossa abiti femminili, infatti, nel desiderio di appropriarsi di ciò che ama e che non avrà mai; orgoglioso e consapevole di essere artista da diventare furiosamente autodistruttivo quando percepisce che qualcuno lo mette in dubbio.
Giorgio Diritti ha realizzato un altro notevole film dopo Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà. Ogni aspetto linguistico trova in Volevo nascondermi la sua felice specificità e sintesi, come abbiamo accennato: dalla sceneggiatura scritta con Tania Pedroni al montaggio con Paolo Cottignola; dalla definizione dei personaggi agli interpreti, compresi quelli secondari; dalla scenografia di Ludovica Ferrario alla fotografia di Matteo Cocco fino alla musica di Marco Biscarini e Daniele Furlati, che sottolinea senza enfatizzare.
Volevo nascondermi di Giorgio Diritti. con Elio Germano, Oliver Ewy, Leonardo Carrozzo, Pietro Traldi, Orietta Notari, Andrea Gherpelli. Italia, 2020, durata 120 minuti.