“Soffio” di Nicola Ragone

di Mimmo Mastrangelo

Fuori dalle mura del penitenziario c’è una madre, il suo  volto è segnato dal dolore. All’interno  si sente chiudere con violenza  la cella dove si trova la giovane  figlia che si appresta a vivere le ultime ore di vita prima che il  cappio di una forca  arresti definitivamente il suo soffio.

Si intitola proprio “Soffio” l’ultimo lavoro di Nicola Ragone il quale, ancora  una volta, si  è avvalso della pregevole complicità di Daniele Ciprì per catturare con grazia ogni minimo  sguardo, respiro, movenza, emozione della protagonista.

Presentato in anteprima  nei giorni scorsi  all’ultimo “Rome Indipendet Film Festival”, questo lavoro contro la pena capitale (ricordiamo sono ancora  56 i Paesi nel mondo – tra cui Cina, Arabia Saudita, Iran, Usa – che  adottano il più premeditato degli assassinii) conferma la sensibilità e l’ attenzione di Ragone verso certe scottanti tematiche.

Anche se le intenzioni del giovane  regista lucano vogliono andare oltre, egli prova a penetrare una vita in via di congedo,  a filmare gli ultimi attimi di un’esistenza prima di essere giustiziata. E lì, dentro a quella cella spoglia degli occhi si aprono sull’orizzonte di un nuovo destino,  la protagonista si abbandona a gesti che potrebbero essere comuni di tutti giorni, come lavarsi le mani, affacciarsi alla finestra, sdraiarsi sul letto, simulare di tenere in braccio un bambino, specchiare il proprio volto in una piccola pozza d’acqua.

Sono i  respiri ultimi che, però, solo in parte permettono penetrare  in profondità lo  stato animo di una persona che si appresta lasciare questa terra per varcare la soglia dell’altro mondo.  Nella lettera, che verrà consegnata dal secondino  nelle mani della madre fuori dal penitenziario, la detenuta confessa che ha ucciso l’uomo che voleva fargli violenza per difendere il proprio corpo,  esattamente come fece la giovane donna iraniana a cui è ispirato il film.

Reyhaneh Jabbari nel 2007 ammazzò  un uomo che aveva cercato di farle violenza e sette anni dopo, all’età 26 anni, è stata  giustiziata nonostante,   per salvarla dalla forca, ci sia stata  una  mobilitazione popolare in molte parti del  mondo.  Con le intense  prove di Lucrezia Guidone (la detenuta) e Donatella  Gottard (la madre),  i cui sguardi spauriti sono antitesi  alla freddezza di quello di  Christian Bianco nel ruolo della guardia, “Soffio” è una di quelle  piccole produzioni  che fanno sempre bene al cinema di casa nostra,   sanno sovrapporre senza attrito  un registro esecutivo efficace su un’idea, una storia forte.


Lascia un commento