di Mimmo Mastrangelo
Sin da suoi esordi agli inizi degli anni novanta venne salutato tra gli artisti più promettenti della sua generazione, nonché come uno dei principali interpreti dell’estetica relazionale (“Relational Aesthetics”), secondo la quale il punto di partenza della pratica artistica deve considerare l’insieme delle relazioni umane e il contesto sociale in cui si radicano.
Oggi Liam Gillick è sicuramente nel mondo un nome di punta dell’arte contemporanea, dedito alla strutturazione di un linguaggio multimediale specifico che include sculture, testi, video, installazioni ed altro.
Grazie alla Fondazione Donnaregina di Napoli per prima volta viene presentata in Italia una retrospettiva del cinquantacinquenne artista inglese da molti anni con studio a New York.
Per la curatela di Andrea Villani e Alberto Salvadori, al Museo Madre poteva essere visitata fino al prossimo 14 ottobre la mostra “In piedi in cima ad un edificio: film 2008-2019” con cui viene fatta una ricognizione del lavoro audiovisivo dell’ultimo decennio e affrontato il problema della percezione e fenomenologia dello spazio, mediato dai linguaggi succitati.
Ma attenzione, Gillick analizza, scorpora lo spazio innanzitutto dentro tematiche che possono essere puramente politiche e sociali. Stuzzica, provoca lo spettatore per un confronto attivo attraverso le creazioni di situazioni formali e performative che possono mettere criticamente in discussione alcuni parametri legati alla fruizione dell’arte.
A riguardo si possono considerare le installazioni in metallo e plexiglas colorato denominate “Platform Sculptures”, ideate per coinvolgere in “ un’attiva comunicazione” il visitatore che vive emozioni al contatto di un piano di segni puri, astratti o minimalisti. Gillick riconosce che nel tracciato espositivo del Madre si manifestano dislocazioni di suoni e immagini che solo apparentemente impediscono lo spettatore di essere coinvolto in un’esperienza unica, completa , ma in realtà lo spingono ad andare a fondo, a capire meglio ciò che vede, per cui <<quello che per lui può sembrare una manchevolezza, in realtà si svela come un qualcosa in più di un’informazione critica>>.
I film di Gillick, inoltre, ci spronano ad analizzare i rapporti tra opera d’arte, realtà e sviluppo tecnologico in una società sempre più contaminata dalla proliferazione di immagini, ciò significa interrogarsi sullo stato delle cose, sul prossimo futuro, sulla responsabilità etica dell’artista il cui lavoro dovrebbe sempre fare da controcanto, argine all’ imbruttimento morale dell’uomo.
Con le immagini e dei propri testi il Gillick concettuale si interroga su cosa accade intorno a noi nella politica, nella società, nell’economia, e <<ci invita – come afferma Andrea Villani – ad andare alla ricerca di una verità che non è quella dell’artista, ma la nostra, quella di cittadini responsabili>>.