di Gordiano Lupi www.infol.it/lupi
Terror! Il castello delle donne maledette (1973) è un film al centro di una vera e propria disputa sul nome del regista. I titoli di testa indicano un certo Robert H. Oliver che forse non è mai esistito, anche se Gordon Mitchell ha riferito a Marco Giusti che era uno statunitense e aveva sposato la prima moglie di Frank Sinatra. Altre ipotesi parlano di Ramiro Olivarez, William Rose, Oscar Brazzi (il fratello di Rossano, protagonista della pellicola) e Mario Mancini. Le possibilità che a dirigere il film sia stato proprio Mancini – accreditato come direttore della fotografia – sono molte, anche perché il clima di fondo è simile al suo Frankenstein 80.
In ogni caso – pure se il regista fosse straniero – il film è interpretato da un cast con molti attori italiani: Rossano Brazzi (conte e non barone Frankenstein), Loren Ewing (Goliath), Salvatore Baccaro (il mostruoso Ook – ribattezzato nei titoli Boris Lugosi), Gordon Mitchell (Igor), Xiro Papas (il gobbo Kreeger), Luciano Pigozzi (Hans), Laura De Benedittis (la cuoca), Edmund Purdom (il prefetto), Michael Dunn (Genz). A parte la disputa sul nome del regista, nell’edizione italiana troviamo Xiro Papas accreditato per sceneggiatura e soggetto, mentre in quella statunitense leggiamo i nomi di Marc Smith (Marco Ciccarella), Robert Spano, Marina Grimaldi e William Rose. La fotografia è di Mario Mancini, la musica di Marcello Gigante e il fiacco montaggio di Enzo Micarelli. Le scenografie sono di Marco Ciccarella. Producono Sergio Merolle e Xiro Papas per Classic Film International.
Il film ha avuto un buon successo negli Stati Uniti, dove è stato distribuito con i più congeniali titoli di Dr. Frankenstein’s Castle of Freaks oppure House of Freak’s.
In Italia non è mai uscito nelle sale importanti, conserviamo un vago ricordo di un’edizione epurata dalle scene erotiche vista molti anni fa in un cinema di terza visione. Per l’occasione abbiamo analizzato la versione statunitense, apprezzando alcuni elementi positivi in un film che resta un’icona del trash.
Rossano Brazzi è il conte Frankenstein, dedito ad allevare e fabbricare mostri in un castello popolato da freaks. La storia ruota attorno al cadavere di una donna trafugato dal nano Genz, che profanandolo ne ha alterato le qualità. Il prefetto indaga sulla sparizione del cadavere, mentre viene alla luce un cavernicolo che vive in una grotta, una sorta di uomo di Neanderthal interpretato dal mostruoso Salvatore Baccaro. Il conte Frankenstein ha riportato in vita il cavernicolo con un esperimento perfettamente riuscito, ma dal suo laboratorio è venuto alla luce pure il gigantesco Goliath, un mostro innamorato di una bella ragazza ospite del castello che complica la situazione. Genz e il cavernicolo diventano amici, cominciano a compiere diverse malefatte, spiando persino un suggestivo bagno sulfureo delle affascinanti Simonetta Vitelli e Christiane Royce.
Uno dei momenti più trash del film vede lo scontro tra Goliath e il cavernicolo Baccaro, due esseri mostruosi usciti dalla fantasia perversa degli sceneggiatori. Il film raccoglie tutti gli elementi tipici del gotico italiano: necrofilia, castelli cadenti, grotte che proteggono mostri, mad doctor, suggestioni malsane, cadaveri che prendono vita ed esseri mostruosi.
Il cast è al massimo per un film da sale di terza visione: ci sono veri nani (Michael Dumm, morto proprio nel 1973 e molto attivo nell’horror), finti freaks come Salvatore Baccaro, attori di una certa consistenza come Brazzi, Mitchell e Purdom, ma anche caratteristi consueti come Pigozzi.
Un film brutto come pochi, girato in maniera raffazzonata e senza stile, ma così bizzarro da essere ancora oggi oggetto di culto e di visione. La trama è confusa, la sceneggiatura piena di buchi, ma l’atmosfera malsana tipica del cinema exploitation garantisce di non annoiarsi. Il finale è il massimo del trash con un primo piano su Edmund Purdom che declama: “Era un mostro, un anormale. Ma forse siamo tutti un po’ anormali”. Perle di saggezza in una battuta che gli sconosciuti sceneggiatori potevano risparmiarci. Se nessuno ha mai lottato per attribuirsi il film ci sarà un motivo…