di Mimmo Mastrangelo
Roberto Rossellini diceva che un film è un miracolo quando in poche sequenze sa già svelare tutta la sua bellezza, mettere allo scoperto una “mappa umana” o un significato che va ben oltre il film stesso.
E un prodigio sono di sicuro le immagini iniziali di “Butterfly”, secondo lungometraggio di Alessandro Cassigoli che ha realizzato insieme a Casey Kauffman. Un breve dialogo in dialetto (la giovane pugile che chiede al suo maestro di fargli portare la macchina, lui non si fida, ma lei lo convince dicendogli che ha già preso “la patente ministeriale”) attira subito lo spettatore e lo tiene strettamente inchiodato alla visione fino all’ultimo fotogramma.
Presentato in anteprima all’ultima edizione della “Festa del Cinema di Roma” e dal 4 aprile nelle sale italiane, “Butterfly” è un documentario girato come un film, con una storia vera che – e qui si pesa la bravura dei due registi – scorre senza la mediazione di coordinate legate al genere ( interviste, voce fuori campo…).
Cassigoli e Kauffman hanno avuto la bella idea di portare sullo schermo la storia della giovane pugile Irma Testa. Nata nel 1997 nel quartiere “ghetto” di Provolera a Torre Annunziata, da una famiglia umile dove le responsabilità genitoriali sono tutte sulle spalle madre, Irma si appassiona poco meno che ragazzina ad un sport duro per uomini, ma grazie agli insegnamenti dell’anziano maestro Lucio Zurlo che le fa pure un padre, riesce a scalare le vette dell’Europa e conquistare, nella categoria juniores anche il titolo mondiale.
Nella primavera del 2016 in Turchia batte la bulgara Svetlana Staneva e si aggiudica una qualificazione storica per le Olimpiadi di Rio de Janiero dello stesso anno. Irma Testa, non ancora ventenne diventa così la prima “pugilessa” italiana a partecipare ad una Olimpiade.
Fisico longilineo, Irma-Butterfly è appunto come una farfalla, leggera e sfuggente, ma picchia duro e nella guardia fa tesoro dei consigli del maestro Lucio. A Rio le cose non girano come dovrebbero, viene sconfitta ai quarti, il podio sfugge e nella ragazza oplontina qualcosa inizia ad incepparsi.
Il docu-film prova ad andare ben oltre la conoscenza dell’ atleta che inizia così un percorso personale che la porta a guardarsi dentro. Dal centro federale di Assisi dove si era trasferita, ritorna nella sua città per ritrovare la madre, il fratello più piccolo Ugo e, naturalmente, il maestro Lucio che a Torre Annunziata è rimasto un’ istituzione, dalla sua scuola, “la Boxe Vesuviana” ( Saturnino Celati ci ha girato il docu-film “I guerrieri” premiato nel 2013 a Parigi), sono usciti fior di boxeur strappati a vite borderline o alla camorra.
Irma di nuovo a Torre Annunziata, intanto, non smette di allenarsi anche se in lei si insinuano tanti dubbi e persino l’idea di abbandonare definitivamente la boxe. La si vide tra le sue compagne, litigare con la madre, rampognare il fratello che non vuol andare a scuola, ma alla fine la consapevolezza che senza la boxe, il ring, il sudore degli allenamenti, i cazzotti scagliati con stizza e tempismo non esiste vita per lei.
E così, la più forte promessa femminile del pugilato italiano, attraverso lo sguardo in macchina di Cassigoli e Kauffman, lancia la sua sfida per riprovare a salire sul podio alle Olimpiadi di Tokio del 2020.
Distribuito dall’Istituto Luce-Cinecittà, “Butterfly” fa sì ricordare la pugilessa Maggie Fitzgerald (Hilary Swank) della fiction“The millor dollar baby” di Clint Eastwood, ma siamo nettamente su un altro terreno, qui carne, sudore e pugni sono reali, il volto e gli occhi di Irma sullo schermo si fanno duri, la pugile, la giovane donna deve vincere un match deciso con se stessa prima di poter ritornare sul ring.
E’ un piccolo miracolo rosselliniano questo film: è cinema che si fa vita, è cinema che meglio non potrebbe narrare una vita.