“Il toro del pallonetto” di Luigi Barletta

di   Mimmo Mastrangelo

La boxe  ha avuto interpreti brucianti di passioni e deliri,  altalenanti tra  gloria e  declino. Una  disciplina antica come l’uomo (peccato che da tempo sia in declino) che, spesso,  ci ha regalato storie  in cui i cazzotti e le esistenze “si sono schiantati in egual misura”.

Come è accaduto al napoletano Giuseppe  Esposito, alias  “ il toro del Pallonetto” di cui, dopo il terremoto del 1980,  non si è saputo più nulla. Sparito nel nulla.  Per la sua poderosa  stazza, già da ragazzo  nel  quartiere popolare di San Lucia dove viveva lo chiamavano “a muntagna”, il gigante . Provò a cimentarsi in vari sport,  ma senza successo, finché un amico gli consigliò di frequentare la palestra  di Nino Camerlingo , un’istituzione nella boxe di Napoli, “scopritore di molti talenti tra gli scugnizzi”.

Non aveva tecnica né stile, eppure Esposito si presentava immenso , in palestra sferrava cazzotti con una forza incredibile, per questo diventò  “il toro del Pallonetto”.

I primi incontri  li vinse sulle portaerei statunitensi ormeggiate nel porto di Napoli.  Sul un ring  di quelle imbarcazioni lo vide il campione  Joe Luis ( diventato famoso per aver battuto Primo Carnera) che lo volle portare con lui negli Stati Uniti. Oltreoceano  si fece conoscere come Joe  Esposito, ma cadde nella trappola di un boss italoamericano che gestiva scommesse e combinava i match.

Schifato dal pezzo di America “borderline” vissuta tornò a Napoli,  sposò Anna,  trovò lavoro al porto e Camerlingo lo accolse di nuovo nella sua palestra. Nel 1952  “Joe il toro” salì sul ring ed ebbe la meglio su un trevigiano che chiamavano  “il mitra” per la velocità con cui sferrava i colpi in succesisone. Per il napoletano doveva essere la svolta verso il professionismo, ma una banale lite con l’emergente Nino Benvenuti mandò tutto a carte quarantotto.

Nella Napoli del tempo di Achille Lauro, le sue idee comuniste  erano scomode e, dunque, fu costretto a lasciare  di nuovo la sua città. Finì da un cugino in Ungheria  dove partecipò attivamente alle insurrezioni del 1956, e proprio negli scontri sviluppatesi durante una protesta di piazza  vide morire la moglie.

Ritornato in Italia tentò una carriera di attore nel cinema. Saranno le sue solo delle fugaci comparsate in produzioni non importanti.

Poi il vuoto, la nebbia, la vita di Joe sparirà definitivamente dai radar di chi lo conosceva.  Una storia romanzesca quella di Joe Esposito che, grazie a varie testimonianze (Lello Mascia, Tullo Pironti, Luigi Necco,  Valerio Caprara, Patrizio Oliva, Nino Benvenuti, Clemente Russo), il regista  Luigi Barletta ha voluto ricostruire ne “Il toro del Pallonetto” (2018), presentato nei giorni scorsi al MAXXI di Roma.

Prodotto da Zivago Film e dall’Istituto Luce Cinecittà, è un lavoro  in cui non si vede una sola immagine  di  Esposito, il volto rimarrà  del tutto sconosciuto per la ragione che la sua storia è  semplicemente frutto della fantasia. E’ stata tutta inventata.

Il colpo di genio di Barletta  sta proprio  qui, aver lavorato sulla finzione, su un mockumentary in cui la parabola umana e sportiva  di Esposito è  pretesto per conoscere i principali eventi vissuti a Napoli dal fascismo alla fine del novecento, per aprire uno spaccato sull’alta scuola di pugni, carezze e sogni del maestro  Camerlingo, sui campioni pugilatori (Cossia, Oliva,Russo) ferrati all’ombra del Vesuvio.


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